Il consueto appuntamento con il cinema del regista Tonino De Bernardi nella sezione Onde rappresenta sempre un momento di riflessione sulla natura stessa dell’arte e sul più profondo scopo di quest’ultima. La carriera di De Bernardi è emblematica del cinema underground italiano, una realtà spesso non troppo valorizzata nel nostro Paese. “Il mio è un cinema nel tempo”, ha detto De Bernardi durante il Q&A al Reposi: un film realizzato con materiale girato dal 2009 al 2019 è al di fuori delle logiche produttive dell’industria cinematografica cosiddetta mainstream, ma anche di quella indipendente nel senso tradizionale.
Quando si parla di cinema indipendente, infatti, non si tratta solo di indipendenza economica o distributiva, ma anche quella, spesso trascurata, che concerne il pubblico: fare cinema avendo in mente come spettatori se stessi è un lusso che case di produzione grandi e piccole non possono permettersi, ma una pratica che il regista ha applicato ad ogni suo film a partire dagli Anni Sessanta.
Il cinema di De Bernardi è anche nello spazio: in Resurrezione, come in Ifigenia in Aulide (2018), il testo prescelto dal regista si intreccia con riprese realizzate in luoghi molto diversi, in questo caso Napoli, Marsiglia, Mumbai, Torino ed altri ancora. La lettura da parte di amici, parenti e performer dell’ultimo romanzo di Tolstoj (scritto anch’esso in dieci anni) è accompagnata da immagini catturate con camera a mano, com’è uso del regista, e da un sonoro asincrono in continuo confronto dialettico con queste ultime. Esse d’altro canto evocano diverse situazioni del romanzo: il film inizia su un treno che viaggia per l’India, riferimento al viaggio di Katjuša per la Siberia, mostra un matrimonio, un funerale ed una conversazione sulla spiritualità con Adamo Vergine (già cineasta underground e poi psicanalista freudiano), a richiamare il ruolo centrale della religiosità nel romanzo. I capitoli sono montati in disordine: il processo filmico si è compiuto a ritroso, poiché il regista ha effettuato riprese per dieci anni senza sapere come le avrebbe montate, ritrovando poi a sua detta tutto ciò che gli serviva durante il montaggio.
Ogni frame è marcato dallo sguardo del regista, quasi in una perenne soggettiva, salvo due momenti in cui De Bernardi mostra se stesso, una volta allo specchio ed una volta accanto ai suoi nipoti.
“Io faccio il cinema come è toccato a me”, suole dire il regista: il fatto che vengano ancora coltivate realtà in cui l’espressione dell’arte è libera da costrizioni è rincuorante. De Bernardi ha ancora molto da dire e da insegnare.
Beatrice Ceravolo