Rinegoziare le norme di genere costa un viaggio oltremare, quello della Mickey del titolo, in una parabola coming of age post-adolescenziale che sancisce, una volta per tutte, il passaggio all’età adulta. On the road è anche il percorso festivaliero del lungometraggio di debutto di Mian Mian Lu: da Taipei, a Vancouver e infine in concorso per la 38esima edizione del Torino Film Festival.
Abbandonata dal padre in tenera età, Mickey trascorre le sue giornate prendendosi cura della madre alcolizzata e depressa, da tempo sottrattasi al ruolo genitoriale. Nel tempo libero pratica arti marziali, attività per soli uomini insieme ai quali desidera esibirsi durante il cerimoniale religioso del tempio locale. Per sopravvivere, svaligia giochi cabinati insieme alla migliore amica Gin Gin, ballerina itinerante di go-go dance, incinta e abbandonata a sua volta dal ragazzo. Da sfondo alle loro imprese vandaliche, una qualunque città meridionale di Taiwan, dove la dimensione ludica conta tanto quanto quella spirituale. Ciò che innesca nelle due ragazze un sentimento di rivolta contro la propria condizione è la mancanza di una figura maschile, sia questa il padre o l’innamorato, e di conseguenza la sua disperata ricerca. Rivisitando i più classici canoni del road movie, verranno catapultate, come in un flipper a gettoni, a Guangzhou, metropoli della conurbazione rivierasca del Delta del Fiume delle Perle.
Visivamente accattivante e magnetico, Mickey on The Road trasmette un forte investimento emotivo nell’emancipazione individuale e sessuale delle due protagoniste, iconograficamente riportata nel rapace tatuato sul petto di Mickey e rintracciabile nella personalità frizzante di Gin Gin. Una libertà che può voler significare, più di ogni altra cosa, testare sulla propria pelle l’esperienza del viaggio e tutto ciò che ne deriva, individuare nella strada percorsa un luogo di confronto e di consapevolezza, per poi guardare all’indietro, con una nuova prospettiva, alla tanto odiata quotidianità.
Con il susseguirsi del giorno e della notte, della pioggia e del sereno, il film alterna momenti contemplativi e onirici a un’esposizione incalzante, che si snoda principalmente durante la prima parte, ma che non arriva a dipanare il groviglio. A conti fatti, il pubblico viene congedato con un epilogo disincantato e alcuni conti in sospeso, lasciti di una narrazione abdicante o di una prospettiva cinematografica a noi ancora poco congeniale.
Noemi Castelvetro