A quattro anni di distanza da The Monster, Bertino scrive e dirige una ghost story intrecciata con il dramma famigliare, personalizzandola con il suo consueto stile asciutto ed esplicito. Il film è stato presentato in anteprima mondiale al Tribeca Film Festival 2020 ed è fuori concorso nella sezione Le stanze di Rol del 38° Torino Film Festival.
Dopo molti anni, Louise (Marin Ireland) e Michael (Michael Abbott Jr.) ritornano nella fattoria di famiglia per stare vicini al padre (Michael Zagst), malato terminale, durante i suoi ultimi giorni di vita. Man mano che passa il tempo, i due fratelli e la madre (Julie-Oliver Touchstone) sospettano che una misteriosa presenza abbia preso di mira l’anziano uomo.
Lo stesso regista ha suggerito di vedere The Dark and the Wicked come un tentativo di esorcizzare la paura di perdere i propri cari, un evento che tutti, prima o poi, dobbiamo affrontare. Quando muore una persona che amiamo siamo più vulnerabili, ed è proprio quello il momento in cui gli orrori possono insinuarsi nelle nostre menti.
Gli scenari sono le campagne del Texas, nel cuore dell’America rurale. Un mondo che, come la saga di Non aprite quella porta insegna, a un osservatore esterno appare chiuso, arretrato, legato a credenze che la “modernità” ormai considera superstizioni e, soprattutto, custode di segreti che non devono essere svelati.
Il film segue la strada tracciata dal cinema horror americano nell’ultimo decennio, ovvero la tendenza a privilegiare una dimensione più intima. Il pericolo nasce all’interno delle mura domestiche, non arriva dall’esterno. L’entità infestante disgrega il modello anacronistico della cosiddetta “famiglia tradizionale”, mettendone a nudo le ipocrisie e i conflitti latenti tra i suoi membri, che spesso non si conoscono veramente e non riescono a unirsi per affrontare la minaccia.
Al netto di (pochi) jump-scares prevedibili e di un uso del commento musicale anche laddove non sarebbe necessario, Bertino riesce a passare con assoluta disinvoltura ed equilibrio dalle atmosfere dell’horror psicologico ai momenti di splatter più spinto, che arrivano quando lo spettatore meno se lo aspetta. Ogni scena, anche quella in apparenza più innocua, dà sempre la sensazione che da un momento all’altro possa succedere qualcosa. Il fatto che l’entità non venga mai chiaramente mostrata è un altro punto di forza, perché stimola l’immaginazione dello spettatore. Se l’epiteto di autore è forse eccessivo, il regista è riuscito a imprimere in maniera forte e netta la propria visione anche per una storia che non brilla per originalità. Questa capacità ha reso Bryan Bertino, insieme ad Ari Aster, Robert Eggers e Jordan Peele, uno dei cineasti di riferimento del panorama horror contemporaneo.
Sirio Alessio Giuliani.