Primo piano di Shaq Shaq, 24 anni. Nell’aria il frastuono inconfondibile del traffico newyorkese. Il ragazzo, con lo sguardo in macchina, scruta le profondità dell’obiettivo, borbotta qualche parola, ammicca nervosamente. D’un tratto, sulla sua immagine si sovraimprimono le linee dell’interfaccia di una dating app, e subito si ha la sensazione che lo schermo stia restituendo lo sguardo a Shaq Shaq. Il quale, ormai è chiaro, è intento a scorrere su Tinder i profili di alcune ragazze, alla ricerca di quella giusta per un incontro.
Così comincia Searchers, il film di Pacho Velez approdato a Visions du Réel dopo un’anteprima allo scorso Sundance Film Festival. E così procede, senza quasi mai abbandonare il suo curioso punto di vista. Il regista – insegnante di cinema con una dozzina di documentari alle spalle, tra cui Manakana, co-firmato da Stephanie Spray e Pardo d’oro Cineasti del presente nel 2013 – ha riunito un eterogeneo gruppo di utenti di piattaforme d’incontri che, uno dopo l’altro, sfilano sullo schermo mentre si misurano con gli spietati meccanismi dell’online dating.
Scegliendo di adottare la prospettiva della tecnologia per osservare questo piccolo campione di newyorkesi, Searchers ci ricorda che cellulari e computer ci guardano. Attraverso i loro schermi, ci scrutano mentre siamo intenti a performare l’immagine di noi stessi che vogliamo dare al resto del mondo.
Se questo è un aspetto che certamente interessa il regista, d’altra parte non bisogna rischiare di prendere Searchers per quello che non è: un esperimento sociale. Velez, che proviene da Brooklyn, vuole piuttosto raccontare la sua città e i suoi concittadini in un momento delicato, quello dell’estate del 2020. Ci riesce grazie a una straordinaria capacità di guardare alle cose con delicatezza e semplicità. Non mancano, nel suo sguardo, vibrazioni alleniane: durante gli interludi in cui la macchina da presa esce per le strade della Grande mela, il film sembra trasformarsi in una versione di Tutti dicono I love you (Woody Allen, 1996) aggiornata ai tempi della pandemia.
Quando poi, verso la fine del film, Velez riesce a mettere da parte il punto di vista della tecnologia e comincia a osservare i suoi personaggi con occhi più umani, senza peraltro rinunciare all’estetica del primo piano, ecco che Searchers guadagna una marcia in più, e riesce a trasmettere allo spettatore un po’ di quella speranza e di quel calore che i suoi protagonisti inseguono in rete.
Andrea Bruno