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“THE SHEPHERD”, BY YUFEI ZHAO

Article by Orazio Oztas

Translation by Federica Lozito

“…(the nuns) taught us there are two ways through life: the way of Nature and the way of Grace. You have to choose which one you’ll follow.” This quote from Terrence Malick’s The Tree of Life could limpidly sum up the story of the shepherd Zhenping, the protagonist of the documentary The Shepherd, if the word “grace” were replaced with the word “love.”

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The vast grasslands of Inner Mongolia provide the background for this intimate human parable that encapsulates, in its poverty and cinematic minimalism, a crucial moment in one man’s life. In his first medium-length film, Yufei Zhao directs – with a dry and algid black-and-white – the monotonous life of the shepherd, who takes animals out to pasture every day; these creatures fill his loneliness and become his only company besides his elderly mother, the only person he interacts with daily. The friends he used to spend time with are now married, and the two brothers who used to live with him have now passed away. The resetting of this household’s life rhythm is suddenly set in motion again by an interference created by the arrival of his still-living brother, who comes to visit, along with his wife, the family in these endless, uninhabited areas. The visit disrupts their habits: in a place as unfamiliar to them as a restaurant, the brother proposes that Zhenping find another woman to settle down with. To thus follow that way of love, a way the shepherd has not followed for years.

However, Zhenping’s life is deeply rooted in nature by now: framed by the hills, the daily walk with his sheep remains the happiest, most enlivening prospect compared to a new path – or life – to be taken, with all the obstacles and dark pitfalls it might hold for him. For a man experiencing old age, this darkness is no longer bearable; as a result, he will wait patiently and painfully for the flow of life to reach its end.

“THE SHEPHERD” DI YUFEI ZHAO

“… ci hanno insegnato che esistono due vie per attraversare la vita, la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quale via seguire”. Questa citazione da The Tree of Life di Terrence Malick potrebbe riassumere limpidamente la storia del pastore Zhenping, protagonista del documentario The Shepherd, se al posto della parola “grazia” si sostituisse il termine “amore”.

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Le vaste praterie dell’entroterra della Mongolia fanno da sfondo a questa intima parabola umana che racchiude, nella sua povertà e nel minimalismo cinematografico, un momento cruciale della vita di un uomo. Yufei Zhao, qui al suo primo mediometraggio, dirige – con un bianco e nero asciutto e algido – la vita monotona del pastore, che ogni giorno porta al pascolo gli animali; creature che riempiono la sua solitudine e diventano la sua unica compagnia oltre all’anziana madre, unica persona con cui interagisce quotidianamente. Gli amici che frequentava in passato si sono sposati e i due fratelli che convivevano con lui sono morti. L’azzeramento del ritmo vitale di questo nucleo familiare viene improvvisamente rimesso in moto da un’interferenza creata dall’arrivo del fratello ancora in vita, che viene a trovare, insieme alla moglie, la famiglia in queste aree sconfinate e disabitate. La visita sconvolge le consuetudini: in un luogo a loro estraneo come un ristorante, il fratello propone a Zhenping di trovare un’altra donna con cui stabilirsi. Di percorrere quindi quella via dell’amore, che il pastore non percorre da anni.

La vita di Zhenping è però ormai profondamente radicata nella natura: la passeggiata quotidiana con le sue pecore, nella cornice delle colline, rimane la prospettiva più felice, più ritemprante rispetto a una nuova via o (vita) da intraprendere, con tutti gli ostacoli e le oscure insidie che potrebbe riservargli. Perché questa oscurità, per un uomo che sta vivendo la vecchiaia, non è più affrontabile; e così aspetterà con pazienza e dolore che il flusso della vita arrivi al suo termine.

Orazio Oztas

“CONTROLUCE” BY TONY SACCUCCI

Article by Marilina Rita Monzo

Translation by Aurora Monteleone

Controluce – the documentary by Tony Saccucci, presented at the 42nd Torino Film Festival and produced by Luce Cinecittà – is an intense reflection on the life and work of Adolfo Porry-Pastorel, one of the leading figures in early 20th-century Italian photography. The movie skillfully combines archival footage and fictional sequences, creating a visual dialogue that surprises with its harmony and guides the viewer into a distant yet remarkably contemporary era.

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“CONTROLUCE” DI TONY SACCUCCI

Controluce – il documentario di Tony Saccucci presentato al 42° Torino Film Festival e prodotto da Luce Cinecittà – è una riflessione intensa sulla vita e sull’opera di Adolfo Porry-Pastorel, uno dei protagonisti della fotografia italiana del primo Novecento. Il film unisce sapientemente immagini d’archivio e sequenze di fiction, creando un dialogo visivo che sorprende per la sua armonia e che accompagna lo spettatore in un’epoca lontana eppure incredibilmente attuale.

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“THE SILENCE OF LIFE” BY NINA BLAŽIN

Article by Alessandra Sottini

Translation by Federica Riccardi

On an ordinary day, Manca Košir explains to his family the secret of the enchanting cherry blossom: its beauty captivates the observer, but its brittleness and the passage of time make quickly fade that instant of wonder. The eternity of being is enclosed in the celebratory activity of life, day by day. Slovenian director Nina Blažin, who has experienced first-hand the loss of a loved one, feels close to the joyful and combative personality of the protagonist of The Silence of Life, filmed between 2019 and 2023.

A play on oppositions, or a lyrical oxymoron, seems to suggest the title of the film in competition in the international documentary section of the 42nd Turin Film Festival. The Silence of Life seems to tell us that silence is not always the only weapon available against the inevitability of death: stricken by throat cancer, Manca opposes this adverse destiny with specific speech exercises.

The Silence of Life (2024) di Nina Blažin

The camera probes and observes this woman who is as tenacious as she is aware of her condition. However, the documentary gaze is not ‘cooled down’ by the usual techniques of tailing and approaching, because it is Manca herself who makes the viewer live her story: despite the oppressive weight of time passing by, it is herself who inhabits the space with gestures and words and colours the atmosphere with her clothes (overall red, yellow and pink).

‘Death is part of our existence and we must take as such’. This is the indelible trace left by Manca Košir, then.

“THE SILENCE OF LIFE” DI NINA BLAŽIN

In un giorno come tanti, Manca Košir spiega alla sua famiglia il segreto dell’incantevole fiore del ciliegio: la sua bellezza cattura l’osservatore, ma la sua fragilità e lo scorrere del tempo fanno svanire velocemente quell’istante di meraviglia. L’eternità dell’essere, dunque, è conchiusa nell’attività celebrativa della vita, giorno dopo giorno. La regista slovena Nina Blažin, che ha vissuto in prima persona la perdita di una persona amata, si sente vicina alla personalità gioiosa e combattiva della protagonista di The Silence of Life, girato tra il 2019 e il 2023.

Un gioco di opposizioni, o un ossimoro lirico, sembra suggerire il titolo del film in concorso nella sezione documentari internazionali della 42ª edizione del Torino Film Festival. The Silence of Life sembra dirci che il silenzio non è sempre l’unica arma a disposizione contro l’inevitabilità della morte: colpita da un cancro alla gola, Manca contrasta questo destino avverso con specifici esercizi di pronuncia.

The Silence of Life (2024) di Nina Blažin

La macchina da presa indaga e osserva questa donna tanto tenace quanto più consapevole della sua condizione. Tuttavia, lo sguardo documentario non è “raffreddato” dalle consuete tecniche di pedinamento e di avvicinamento perché è Manca stessa a far vivere allo spettatore la propria storia: nonostante il peso opprimente del tempo che scorre, è lei ad abitare lo spazio con i gesti e le parole e a colorare l’ambiente con i suoi vestiti (predominano il rosso, il giallo e il rosa).

«La morte fa parte della nostra esistenza e dobbiamo prenderla come tale». Questa è dunque la traccia indelebile lasciata da Manca Košir.

Alessandra Sottini

“IL MESTIERE DI VIVERE” BY GIOVANNA GAGLIARDO

Article by Francesca Strangis

Translation by Alessandra Rapone

It was August 26, 1950, when a man was walking through the streets of Turin for the last time. A farewell to the world, maybe a last weak unheard cry for help, and ultimately, the fatal choice to leave behind a life he had never been able to fully embrace. Il mestiere di vivere begins from the end, from Cesare Pavese’s last day, perhaps wanting to immediately put on stage (and so set aside) what has too often obscured his fame.

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“IL MESTIERE DI VIVERE” DI GIOVANNA GAGLIARDO

Era il 26 agosto del 1950 quando un uomo passeggiava per le strade di Torino un’ultima volta. Un addio al mondo, forse un ultimo tenue grido di aiuto non accolto, infine la fatale scelta di abbandonare questa vita che non era mai stato in grado di vivere a pieno. Il mestiere di vivere inizia dalla fine, dall’ultimo giorno di Cesare Pavese, forse a voler mettere subito in scena (e quindi da parte) ciò che ha fin troppo oscurato la sua fama.

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“NOTRE CORPS” DI CLAIRE SIMON

All’inizio c’è un’ombra: è quella di Claire Simon, la regista di Notre corps, presentato nel Concorso documentari internazionali al 41° Torino Film Festival. Riprende il contorno di se stessa e della macchina da presa che si delinea sulla strada prima di entrare – come dice la sua voce – nel racconto di «un valzer folle di destini, dall’inizio alla fine». Torna alla mente la scena in cui un’altra grande regista francese, Agnès Varda, che inquadra le sue mani mentre commenta come il corpo cambi nel tempo in La vita è un raccolto (2000). In entrambi i casi non c’è programmaticità nello sguardo della macchina quanto piuttosto il punto di vista soggettivo e personale di due donne che trasformano ogni inquadratura in un’umana riflessione sulla vita e sul suo essere determinata dalla fine.

Simon inizia da un incontro, quello con la produttrice Kristina Larsen che le dà lo spunto per un documentario. Eccola quindi entrare nel reparto di ginecologia di un ospedale pubblico parigino per raccontare, guardando al cinema di Frederick Wiseman, un microcosmo composito nel quale ogni tassello è una patologia diversa. Le singole esperienze private sono allineate nella narrazione in modo da rivendicarne anche la dimensione pubblica. Lo mostrano due scene che si susseguono: prima alcune manifestanti denunciano la brutalità delle visite mediche che hanno dovuto subire e rivendicano il diritto di scelta sul proprio corpo. Subito dopo, di nuovo dentro l’ospedale, una signora guarda in macchina mentre la preparano per un’operazione sottolineando il suo amore per il cinema e quanto il lavoro della regista sia importante perché bisogna prima di tutto informare. Ed è Claire Simon stessa a testimoniarlo: quando scopre di avere il cancro durante le riprese dice infatti al suo medico che l’avrebbe presa molto peggio se non fosse stata nel pieno della realizzazione di questo film, che proprio sul ruolo del corpo come attore dell’esistenza riflette.

Valentina Testa.

articolo pubblicato su “la Repubblica” il 27 novembre 2023.

“A STRANGER QUEST” DI ANDREA GATOPOULOS

Tracciare i confini di una mappa significa indagare il mondo conosciuto e, soprattutto, rivolgere il nostro sguardo verso l’ignoto. Ruotano intorno a questo le domande che Andrea Gatopoulos lascia che l’intelligenza artificiale ponga a David Rumsey, uno dei più grandi collezionisti di mappe del mondo. Il primo lungometraggio del regista abruzzese conclude una trilogia dedicata al rapporto tra uomo e macchina costituita dai due cortometraggi Happy New Year, Jim (2022) ed Eschaton Ad (2023).

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“NUCLEAR NOW” by OLIVER STONE

Article by Angela Borraccio

Translated by Fabio Castagno

The last important guest of the 41st edition of Torino Film Festival is the American director Oliver Stone, who will be awarded with Premio Stella della Mole. He will hold a masterclass and present his latest documentary Nuclear Now, which leads the audience to reflect about the contradictions and paradoxes of humankind in his typically blunt and direct style. The film takes its inspiration from the arguments of the book A Bright Future: How Some Countries Have Solved Climate Change and the Rest Can Follow by Joshua S. Goldstein, a leading expert on international relations, war and society, energy and climate change. The authors’ obvious intentions are to explain that nuclear energy can be a solution to climate change and the challenges putting a strain on human survival on the planet.

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“NUCLEAR NOW” di OLIVER STONE

L’ultimo importante ospite della 41 ͣ edizione del Torino Film Festival è il regista americano Oliver Stone, al quale sarà conferito il Premio Stella della Mole. Il regista terrà una mastercless e presenterà il suo ultimo documentario Nuclear Now che, in linea con il suo stile schietto e diretto, porta il pubblico a ragionare sulle contraddizioni e i paradossi del genere umano. Il film prende il via  dalle argomentazioni contenute in A Bright Future: How Some Countries Have Solved Climate Change and the Rest Can Follow, libro di Joshua S. Goldstein, uno dei massimi esperti di relazioni internazionali, guerra e società, di energia e cambiamento climatico. Le evidenti intenzioni degli autori sono di spiegare che l’energia nucleare può essere una soluzione al cambiamento climatico e alle sfide che stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dell’essere umano sul pianeta.

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“SMILING GEORGIA” BY LUKA BERADZE

Article by Nicolò Pilon

Translation by Martina Agostino

During the elections in 2012 in Georgia, the Party’s candidate Mikheil Saak’ashvili of “United National Movement” promises free dental visits to all citizens over the age of 50. He does not limit himself to promises, in fact he hires teams of dentists tasked with restoring the smiles of his potential voters. At the end of the two-month campaign, however, Mikheil will lose the election, leaving citizens with half surgery done, but with no teeth. Eight years later, director Luka Beradze decides to go to one of the  regions most affected by this electoral cataclysm, where he will find the Innominatovillage, in the municipality of Chiaturi.

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“SMILING GEORGIA” DI LUKA BERADZE

Durante le elezioni del 2012 in Georgia il candidato del partito “Movimento Nazionale Unito” Mikheil Saak’ashvili promette visite odontoiatriche gratuite a tutti i cittadini che hanno superato il cinquantesimo anno di età. Non si limita alle promesse, ma ingaggia squadre di dentisti incaricate di ripristinare il sorriso dei suoi potenziali elettori. Alla fine della campagna durata due mesi Mikheil perderà però le elezioni, lasciando i cittadini a metà intervento, ovvero senza denti. Otto anni dopo il regista Luka Beradze decide di andare in una delle regioni più colpite da questo cataclisma elettorale, dove troverà il villaggio Innominato, nel comune di Chiaturi.

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 “ANULLOJE LIGJIN” BY FABRIZIO BELLOMO

Article by Asia Lupo

Translation by Rebecca Lorusso

The sea, a mound of earth and some buildings are the opening images of Anulloje Ligjin, a documentary that talks about the mysterious reality of a country which has been isolated from the rest of the European continent for 40 years. Albania, in this film, is shown in all its desolation and inconsistencies, but also in its profound creative energy and resistance.

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 “ANULLOJE LIGJIN” DI FABRIZIO BELLOMO

Il mare, un cumulo di terra e alcuni edifici sono le immagini di apertura di Anulloje Ligjin, un documentario che tocca con i guanti la realtà misteriosa di un paese che per quarant’anni è stato isolato dal resto del continente europeo.  L’Albania, nel film di Fabrizio Bellomo, viene mostrata in tutta la sua desolazione, le sue incongruenze, ma anche la sua profonda  e tribale energia creativa e di resistenza.

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“LUX SANTA” BY MATTEO RUSSO

Article by Valentina Testa

Translation by Chiara Rotondo

It is a customary practice in Crotone for young men to build a wooden pyramid to set fire in honour of St. Lucy on December 13th. Cooperation becomes a prerequisite for winning the friendly and traditional competition that takes place every year among the town districts to see who can build the highest and most impressive fire. “We must ensure that our Jesus Fund gets published in newspapers, and nobody else.” Even if the press won’t pay attention to them, the story of the Jesus Fund community will be told in Lux Santa (“Holy light”). This film, directed by Matteo Russo and presented as part of the 41st Turin Film Festival’s Italian documentary competition, sheds light on their experiences.

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“LUX SANTA” DI MATTEO RUSSO

La tradizione vuole che a Crotone, per il 13 dicembre, i giovani uomini del quartiere costruiscano una piramide di legno a cui dare fuoco in omaggio a Santa Lucia. Lavorare insieme diventa una necessità per avere la meglio nella competizione – amichevole e tradizionale anch’essa – che ogni anno si instaura tra i rioni della città per chi fa il fuoco più alto e più bello. «Dobbiamo uscire sui giornali – noi, Fondo Gesù, non gli altri». E nonostante la stampa non gli darà attenzione, sarà Lux Santa – diretto da Matteo Russo e presentato nel concorso documentari italiani per il 41° Torino Film Festival – a raccontare la storia degli uomini del rione Fondo Gesù.

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“OLTRE LA VALLE” BY VIRGINIA BELLIZZI

Article by Marco Di Pasquale

Translation by Chiara Rotondo

Since we were kids, when being first shown a geographical map, political boundaries seemed so obvious and natural to us that we were ready to be tested at school. They may have changed over time, but they remain precise and defined at all times. Paradoxically, it is precisely when at the boundaries that we realise how much those lines we saw reproduced on maps are actually invisible, and how much the very concept of a border is artificial, aimed at reassuringly determining  every aspect of our existence. It is in one of those places, in the municipality of Oulx, on the border between Italy and France, that Virginia Bellizzi observes the numerous fleeting passages of migrants in search of a better future.

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“OLTRE LA VALLE” DI VIRGINIA BELLIZZI

Quando, fin da piccoli, ci viene mostrata per la prima volta una mappa geografica, i confini politici ci appaiono scontati e naturali, pronti per essere memorizzati in vista dell’interrogazione. Sono sì cambiati nel corso del tempo, ma restano precisi e definibili in ogni epoca. Paradossalmente, è proprio nei luoghi di confine che ci si rende conto di quanto quelle linee che vediamo riprodotte sulle cartine geografiche siano in realtà trasparenti e quanto il concetto stesso di confine sia artificiale, finalizzato a incasellare in modo rassicurante ogni aspetto della nostra esistenza. È in uno di questi luoghi, nel comune di Oulx, al confine tra Italia e Francia, che Virginia Bellizzi osserva i numerosi e fugaci passaggi di migranti in cerca di un futuro migliore.

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