Punta Sacra, una punta di terra dimenticata alla foce del Tevere. Vi vivono, lottando, cinquecento famiglie; le separa dal mare solo una riga di rocce. Per Francesca Mazzoleni, vincitrice al Visions du Reel 2020, questo film è “un pezzo di vita”, il risultato di tanti anni trascorsi a conoscere gli abitanti del luogo e a “condividersi” con loro. L’idea di farne un film è maturata tardi, tanto che Punta Sacra è stato girato – in tre mesi – a otto anni di distanza dal suo primo incontro con la comunità. Un film al femminile dedicato alle donne, giovani e adulte, che vivono in quel fazzoletto di case minacciato dalla furia dell’acqua e dell’oblio.
Moltissimi primi piani – stretti, appiccicati; la camera entra spesso nello spazio d’aria intimo dei protagonisti ma senza vizio o autocompiacimento. Anche quando le geometrie sono esatte e la macchina da presa potrebbe stare ferma, si preoccupa invece di muoversi in assonanza col movimento spontaneo dei volti inquadrati; non ricerca una sua indipendenza stilistica ma, pur con equilibrio nella composizione del quadro, è completamente votata alla trasparenza dell’azione. All’onestà. Questo l’aspetto più inebriante del film di Francesca Mazzoleni: le sue riprese non rubano niente; sono, al contrario, il prodotto di un lavoro creativo condiviso con i protagonisti. Con loro parla a lungo prima di girare, discute il modo migliore per rappresentarli.
E’ una regista che ama la collisione tra cinema narrativo e documentario (ha lavorato anche nella serialità sul set di “Romulus”); il infatti non è, per sua stessa ammissione, un “documentario purista” ma accetta – quando necessaria al racconto – la contaminazione tra realtà e narrazione. Strutturale, in questo senso, la scrittura sul campo attraverso l’individuazione di scene potenziali innescate in diretta ed esplose di conseguenza (per esempio madre e figlia che vivono, per la prima volta davanti alla lente, uno scontro suggerito dalla regista). L’autrice scrive poi molto al montaggio, cercando d’isolare i personaggi (anche tramite l’uso di cartelli) e infondere alle inquadrature il definitivo respiro narrativo .
Con un metodo di lavoro che ricorda per certi versi quello di Roberto Minervini e un uso imperioso della musica – pezzi di colonna sonora non originale di Teo Teardo, uniti a una composizione originale fatta di suoni elettronici semplici dal sapore dell’infanzia – Francesca Mazzoleni ha creato un felice oggetto filmico che evoca (complici le molte riprese aeree, volatili e riflessive) uno stato di nostalgia per qualcosa che c’è, oggi, ma potrebbe un giorno sparire inghiottito dal mare o dal sistema: il popolo di Punta Sacra e la sua terra.
Francesco A. Dubini