«Dopo il soggiorno di qualche settimana con gli orologiai, le mie opinioni sul socialismo sono state risolte: ero un anarchico.» Con questa frase di Pyotr Kropotkin estratta dalle sue Memorie di un rivoluzionario (1877), il regista Cyril Schäublin decide di iniziare il suo secondo lungometraggio “Unrest” nel quale, ricostruendo gli eventi del 1870, racconta come l’indipendenza del pensiero degli artigiani delle Montagne del Giura abbia acceso la scintilla per la nascita del movimento anarchico internazionale.
Il settore orologiero di fine XIX secolo impone ritmi produttivi sempre più rigidi: la magia dell’artigianato cede il passo alla frenesia operaia in cui i secondi sono preziosi, soprattutto quando servono a produrre gli oggetti che permettono di scandirli con esattezza. Eppure, in Svizzera, il tempo non è uguale per tutti: quattro ritmi scandiscono la vita dei suoi abitanti, uno scarto di qualche minuto che però determina una differenza di paga considerevole. Il film propone un dialogo irrequieto che intreccia la nascita di una macchina produttiva infaticabile con i fili della resistenza sociale che cerca di annientarla nel timore di una pericolosa tirannia economica, cercando un’alternativa alla propaganda statalista. Da una parte, quindi, l’esigenza di un controllo coordinato del tempo, materiale (scandito dagli orologi) e storico (in quanto fenomeno fisico), dall’altra lo sviluppo di un pensiero rivoluzionario antiautoritario che si rifà ai grandi ideali di eguaglianza della Comune di Parigi e alle vincenti strategie belliche della battaglia di Morat.
Discendente da una famiglia di orologiai, Cyril Schäublin regala un film personale e intimo nell’ispirazione, ma universale nel suo sviluppo, che racchiude anche una riflessione sul modo in cui definiamo (e riscriviamo) la nostra Storia per meglio esprimere il presente. Nel suo approccio formale fatto di lunghe inquadrature con fuoco fisso e figure ai margini, Schäublin crea una coerenza interna di solida integrità, attenta all’armonia dei colori come ai sussurri della moltitudine di voci che si organizzano per sovvertire il potere e tracciare una nuova “mappa anarchica”. Tutto si racchiude già nel titolo, Unrest, che rimanda alla unrest wheel, il modo in cui le operaie della fabbrica chiamavano il bilanciere utilizzato per scandire i secondi negli orologi meccanici, ma si riferisce anche al disequilibrio e all’irrequietezza in cui si trova la Svizzera. A dominare il film è una pacatezza oppressiva, una violenza dolce ma impositiva che non lascia scampo alle lavoratrici della fabbrica. Quel “cuore meccanico” che batte all’interno degli orologi prodotti dalla più famosa manifattura del mondo non rimanda quindi ad altro che al cuore stesso del movimento anarchico internazionale, il cui centro nevralgico risiede nella Federazione del Giura e nei suoi orologiai rivoluzionari.