Parlare di Razzennest non è certo compito semplice. Quando si deve scrivere dei film d’autore, quei film che impongono il maiuscolo all’intero vocabolo e non soltanto alla lettera iniziale, credo sia sempre doveroso lasciare il giusto spazio all’opera, senza ornarla di termini che, come orpelli, si fermano alla pura apparenza rivelandosi d’inutile lustro. Razzennest appartiene a questa tipologia di film – in grado di coniugare le semplici immagini sullo schermo con le emozioni dello spettatore; film capaci di rendere l’esperienza cinema – o meglio l’esperienza io/film – intima, personale, unica. Dirvi cosa potete vedere in Razzennest è compito impossibile, e quindi mi scuso se in questa recensione mi limiterò a dire ciò che ci ho visto io.
L’opera del poliedrico artista viennese Johannes Grenzfurthner, presentata in concorso alla 23° edizione del ToHorror Fantastic Film Fest, si prefigge l’arduo compito di parlare di cinema in senso lato o come esplicitato dallo stesso regista:
“Razzennest non solo mi ha dato l’opportunità unica di scrivere una lettera d’amore ai film di genere e di ridicolizzare i pretenziosi film d’autore, ma anche di scrivere una lettera d’amore ai film d’autore e di deridere i problemi inerenti ai film di genere”
Come il cinema insegna, dunque, tutto ha inizio con delle immagini. Brevi inquadrature sconnesse, slegate da qualunque imposizione narrativa, appaiono sullo schermo in maniera disorganica, accompagnate da una voce fuori campo che presto si presenterà con il nome di Babette. Lei, giovane critica cinematografica, volenterosa di aggiungere il proprio nome all’interno dell’albo di “coloro che parlano di cinema”, si scontra con l’arduo compito di intervistare Manus Oosthuizen – regista fittizio di Razzennest -, autore che alla semplice risposta preferisce la replica, riuscendo così a creare polemica, rifiuto, dibattito sul cinema.
Credo che questo sia ciò che realmente importante si può dire sul Razzennest . Ovvio, potrei aggiungere una serie di informazioni altrettanto significative, ma allo stesso tempo irrilevanti per ciò che andrete a vedere ma, soprattutto, per ciò che ci vedrete. Potrei dirvi che la colonna sonora è di Alec Empire, fondatore degli Atari Teenage Riot; potrei dirvi che all’interno del film è presente un monologo di Joe Dante, potrei dirvi che…. Credo di essere arrivato alla conclusione che di Razzennest, per quanto mi riguarda, non sia giusto scriverne oltre. Forse potrei intervistare anche io Manus Oosthuizen, vorrei poter chiedergli consiglio su come parlare del suo film, ma già immagino una risposta del tipo: “Il mio è un film e come tale va guardato. Se andasse letto sarebbe stato un libro”. Quanto è bello il cinema quando ti lascia senza parole.
Francesco Ghio