“L’ÎLE” DI DAMIEN MANIVEL

L’ultima sera di Rosa (Rosa Berder) prima di partire per Montréal è una festa indimenticabile. La ragazza deve abbandonare tutti i suoi amici e migrare in Canada, forse per diventare una grande ballerina. Ma gli addii non sono mai facili e la nottata offre a Rosa la possibilità di fermare il tempo per assaporare ogni sorso di birra, ogni tiro di sigaretta e il tepore dell’ultimo giorno d’estate. Il luogo di ritrovo è una grossa roccia in mezzo ad una spiaggia, affettuosamente chiamata “l’isola”; qui i ragazzi allestiscono una sorta di rituale d’addio, fatto di sfide alcoliche, battaglie di alghe e bagni in mare. Rosa vive la sua ultima serata come se fosse veramente l’ultima della sua vita senza mai annegare nei ricordi, ma piuttosto cercando di ricrearne di nuovi che possano vivere in eterno.

Ma come si filmano i ricordi? Come si valorizza la memoria attraverso il racconto cinematografico? A questi problemi il nuovo lungometraggio di Damien Manivel, L’Île – presentato fuori concorso al TFF – sembra trovare soluzioni piuttosto innovative. Manivel propone una complessa struttura narrativa che intreccia un primo racconto in tempo reale – in cui la macchina da presa si muove agilmente tra i ragazzi soffermandosi sui dettagli dei volti, sui loro corpi intrecciati in malinconici abbracci – e uno affidato alla voce over di Rosa che ci presenta i punti salienti della sua ultima notte. A questi due modelli di racconto, Manivel affianca una ricostruzione meta-cinematografica della serata, attraverso l’installazione di una performance – girata come un making of dello stesso film – in cui i ragazzi traducono i loro movimenti in passi di danza.

Forse è proprio quest’ultimo approccio narrativo sperimentale a confermare ancora una volta l’originalità del lavoro di questo regista, che ha già avuto modo di farsi notare a Locarno con Les Enfants d’Isadora nel 2019 (Pardo per la miglior regia) e a Cannes con Magdala nel 2022. Il suo ultimo film è un tentativo più che riuscito di indagare l’intima natura dei ricordi, di immortalare con tutti i mezzi espressivi a disposizione (disegni, fotografie, danza, cinema) la durata interiore di un istante. L’obiettivo della cinepresa di Manivel è un filtro che dilata delicatamente le esperienze vissute dai ragazzi; ogni movimento di macchina interpreta la loro realtà e se ne appropria, senza mai banalizzarla o svuotarla della sua forza emotiva.

Luca Giardino

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