“LOS COLONOS” DI FELIPE GÁLVEZ

«Che cosa accade a un Paese quando un’intera pagina della sua storia viene cancellata?». Da qui parte l’esordio nel lungometraggio di Felipe Gálvez Los colonos, crudo e raffinato film che attraverso il viaggio di tre uomini incaricati dal latifondista Jose Menéndez di trovare un percorso “sicuro” – cioè “ripulito” dagli indios – fino alle coste dell’Atlantico, porta l’attenzione sul genocidio degli indigeni Selk’nam perpetrato alle soglie del XX secolo e per lungo tempo oscurato dalla storia ufficiale del Cile.

Los colonos è un film plurale fin dal titolo. Al suo interno si annidano storie di soprusi e prevaricazioni profondamente stratificate che affondano le radici nella “scoperta” del Nuovo Mondo da parte dei primi colonizzatori europei per estendersi fino alla storia recente (Gálvez ricorda che negli stessi luoghi in cui avvenne la strage di indios, settant’anni dopo il regime di Pinochet sterminò i prigionieri politici). Plurali sono anche le lingue che vengono parlate nel film, spesso mischiate, invertite, ribaltate tra botta e risposta. Plurali sono le identità dei coloni: il texano Bill che porta su di sé le responsabilità dello sterminio dei Comanches, Moreno che sorveglia un confine tra due territori appartenenti a uno stesso despota, MacLennan che si definisce tenente della marina inglese quando invece non è né tenente né inglese («Lei è scozzese! Abbia rispetto per sé stesso!»). Identità smarrite, identità ferite, incapaci di riconoscersi in una comunione di intenti eppure tutte ricondotte a una comune bestialità (Bill sa “fiutare” gli indios, MacLennan si comporta da capobranco), a una condivisione della stessa sordida violenza, attuata o subìta che sia.

Segundo Molina, che li guida attraverso la Patagonia, è il fulcro di queste contraddizioni: di madre Mapuche e padre spagnolo, incarna la colonizzazione di cui è figlio, testimone impotente dei massacri degli indios e memoria viva a cui non viene (quasi) mai data parola.

Los colonos appare così come un western decostruito, in cui i canoni si invertono con spazi incontaminati ristretti nella ratio 3:2, traversate a cavallo che non conducono verso luoghi salvifici ma alla “fine del mondo”, esploratori tutt’altro che eroici e nel quale la narrazione epica è sostituita da una violenza autentica e per questo dolorosa. Plurale è, infine, il rapporto tra Storia, Memoria e Cinema come strumento di conservazione ma anche si omissione. Sintesi di paradossi insolvibili che rendono l’identità cilena dolorosamente frammentata, Los colonos tenta di restituire al proprio popolo un tassello importante di un’eredità scomposta.

Sara Longo

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