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“N-EGO”, BY ELEONORA DANCO

Article by Nicolò Cifarelli

Translation by Linh Carrara

The cold afternoon sun illuminates the pulsating arteries of Rome: in this body, instead of red blood cells, people flow, each with their own past, experiences and aspirations.

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“LE RETOUR DU PROJECTIONNISTE”, BY ORKHAN AGHAZADEH

Article by Ludovico Franco

Translation by Martina Marino

In the opening lines of Swann’s Way (or The Way by Swann’s), Marcel Proust remembers how, as a child, he loved watching the images projected by the magic lantern: out-and-out apparitions that told stories, like a wavering and ephemeral glass wall. On a foggy hilltop near the border with Iran, the silhouettes of a man and a boy on horseback stand out: the young boy is checking a laptop screen, trying to connect to the internet to purchase the necessary equipment to revive an old analog projector, unearthed by a former projectionist from the USSR. However, the essential element needed to make the magic lantern work is missing: the light, provided by a simple yet elusive lightbulb.

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“LE RETOUR DU PROJECTIONNISTE” DI ORKHAN AGHAZADEH

Nell’incipit della Strada di Swann, Marcel Proust ricorda come da piccolo amasse osservare le immagini proiettate dalla lanterna magica: vere e proprie apparizioni che raccontavano leggende, come in una vetrata vacillante e passeggera. Su un’altura avvolta nella nebbia al confine con l’Iran, si distinguono le silhouettes di un uomo e un ragazzo a cavallo: il giovane controlla lo schermo di un computer portatile, nel tentativo di connettersi alla rete internet e acquistare l’occorrente per riportare in vita un vecchio proiettore analogico, rispolverato da un ex proiezionista dell’URSS. Manca però l’elemento imprescindibile per far funzionare la lanterna magica: la luce, data da una semplice eppure introvabile lampadina.

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“MADAME IDA”, BY JACOB MØLLER

Article by Francesca Strangis

Translation by Federica Lozito

What would one sacrifice for a few crumbs of love after a lifetime of starvation? Perhaps even one’s own freedom. Madame Ida investigates the consequences of lack of love through a tale steeped in tragedy and rich with symbolism.

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“MADAME IDA” DI JACOB MØLLER

Che cosa si può arrivare a sacrificare per ottenere qualche briciola d’amore dopo una vita di fame? Forse persino la propria libertà. Madame Ida indaga le conseguenze della mancanza d’amore attraverso un racconto dal respiro tragico, denso di simbolismi.

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“HO VISTO UN RE”, BY GIORGIA FARINA

Article by Silvia De Gattis

Translation by Giuditta Portaro

The life of little Emilio (Marco Fiore) moves between two different dimensions: on one hand, the concrete everyday life of a child in Fascist Italy in 1936; on the other, the adventures experienced by his hero, Sandokan, in the books his uncle gives him. But what happens when these two dimensions intertwine?

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“HO VISTO UN RE” DI GIORGIA FARINA

La vita del piccolo Emilio (Marco Fiore) si muove tra due dimensioni differenti: da una parte, la concreta quotidianità di un bambino nell’Italia fascista del 1936; dall’altra, le avventure vissute dal suo eroe, Sandokan, tra i libri che gli regala suo zio. Ma cosa succede quando queste due dimensioni si intrecciano?

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“THE SHEPHERD”, BY YUFEI ZHAO

Article by Orazio Oztas

Translation by Federica Lozito

“…(the nuns) taught us there are two ways through life: the way of Nature and the way of Grace. You have to choose which one you’ll follow.” This quote from Terrence Malick’s The Tree of Life could limpidly sum up the story of the shepherd Zhenping, the protagonist of the documentary The Shepherd, if the word “grace” were replaced with the word “love.”

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The vast grasslands of Inner Mongolia provide the background for this intimate human parable that encapsulates, in its poverty and cinematic minimalism, a crucial moment in one man’s life. In his first medium-length film, Yufei Zhao directs – with a dry and algid black-and-white – the monotonous life of the shepherd, who takes animals out to pasture every day; these creatures fill his loneliness and become his only company besides his elderly mother, the only person he interacts with daily. The friends he used to spend time with are now married, and the two brothers who used to live with him have now passed away. The resetting of this household’s life rhythm is suddenly set in motion again by an interference created by the arrival of his still-living brother, who comes to visit, along with his wife, the family in these endless, uninhabited areas. The visit disrupts their habits: in a place as unfamiliar to them as a restaurant, the brother proposes that Zhenping find another woman to settle down with. To thus follow that way of love, a way the shepherd has not followed for years.

However, Zhenping’s life is deeply rooted in nature by now: framed by the hills, the daily walk with his sheep remains the happiest, most enlivening prospect compared to a new path – or life – to be taken, with all the obstacles and dark pitfalls it might hold for him. For a man experiencing old age, this darkness is no longer bearable; as a result, he will wait patiently and painfully for the flow of life to reach its end.

“THE SHEPHERD” DI YUFEI ZHAO

“… ci hanno insegnato che esistono due vie per attraversare la vita, la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quale via seguire”. Questa citazione da The Tree of Life di Terrence Malick potrebbe riassumere limpidamente la storia del pastore Zhenping, protagonista del documentario The Shepherd, se al posto della parola “grazia” si sostituisse il termine “amore”.

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Le vaste praterie dell’entroterra della Mongolia fanno da sfondo a questa intima parabola umana che racchiude, nella sua povertà e nel minimalismo cinematografico, un momento cruciale della vita di un uomo. Yufei Zhao, qui al suo primo mediometraggio, dirige – con un bianco e nero asciutto e algido – la vita monotona del pastore, che ogni giorno porta al pascolo gli animali; creature che riempiono la sua solitudine e diventano la sua unica compagnia oltre all’anziana madre, unica persona con cui interagisce quotidianamente. Gli amici che frequentava in passato si sono sposati e i due fratelli che convivevano con lui sono morti. L’azzeramento del ritmo vitale di questo nucleo familiare viene improvvisamente rimesso in moto da un’interferenza creata dall’arrivo del fratello ancora in vita, che viene a trovare, insieme alla moglie, la famiglia in queste aree sconfinate e disabitate. La visita sconvolge le consuetudini: in un luogo a loro estraneo come un ristorante, il fratello propone a Zhenping di trovare un’altra donna con cui stabilirsi. Di percorrere quindi quella via dell’amore, che il pastore non percorre da anni.

La vita di Zhenping è però ormai profondamente radicata nella natura: la passeggiata quotidiana con le sue pecore, nella cornice delle colline, rimane la prospettiva più felice, più ritemprante rispetto a una nuova via o (vita) da intraprendere, con tutti gli ostacoli e le oscure insidie che potrebbe riservargli. Perché questa oscurità, per un uomo che sta vivendo la vecchiaia, non è più affrontabile; e così aspetterà con pazienza e dolore che il flusso della vita arrivi al suo termine.

Orazio Oztas

“A MAN IMAGINED”, BY MELANIE SHATZKY, BRIAN M. CASSIDY

Article by Carlotta Profico

Translation by Martina Marino

A Man Imagined is an intimate and painful portrait of Lloyd, a homeless man with schizophrenia, who recounts his life from his childhood, moving between reality and imagination.

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“CONTROLUCE” BY TONY SACCUCCI

Article by Marilina Rita Monzo

Translation by Aurora Monteleone

Controluce – the documentary by Tony Saccucci, presented at the 42nd Torino Film Festival and produced by Luce Cinecittà – is an intense reflection on the life and work of Adolfo Porry-Pastorel, one of the leading figures in early 20th-century Italian photography. The movie skillfully combines archival footage and fictional sequences, creating a visual dialogue that surprises with its harmony and guides the viewer into a distant yet remarkably contemporary era.

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“CONTROLUCE” DI TONY SACCUCCI

Controluce – il documentario di Tony Saccucci presentato al 42° Torino Film Festival e prodotto da Luce Cinecittà – è una riflessione intensa sulla vita e sull’opera di Adolfo Porry-Pastorel, uno dei protagonisti della fotografia italiana del primo Novecento. Il film unisce sapientemente immagini d’archivio e sequenze di fiction, creando un dialogo visivo che sorprende per la sua armonia e che accompagna lo spettatore in un’epoca lontana eppure incredibilmente attuale.

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“AMICHEMAI”, BY MAURIZIO NICHETTI

Article by Greta Maria Sorani

Translation by Linh Carrara

It is impossible not to feel perplexed after seeing AmicheMai (2024) by Maurizio Nichetti, the director, screenwriter and actor best known for his surreal comedy, he returned to directing twenty-three years after his last film Honolulu Baby (2001) with a comedy on the road that sees two protagonists played by Angela Finocchiaro and Serra Yilmaz.

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“AMICHEMAI” DI MAURIZIO NICHETTI

Impossibile non avere delle perplessità dopo aver visto AmicheMai (2024) di Maurizio Nichetti, regista, sceneggiatore, attore noto ai più per la sua comicità surreale, tornato alla regia dopo venti tre anni dal suo ultimo film Honolulu Baby (2001) con una commedia on the road che vede due protagoniste interpretate da Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz.

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“THE ASSESSMENT” BY FLEUR FORTUNÉ

Article by Pietro Torchia

Translation by Giorgia Mazzù

Premiered at the latest Toronto International Film Festival, The Assessment is set in a dystopian near future where humanity is the primary cause of the world’s destruction and the driving force behind the climate changes that have ravaged it. In response to this catastrophic situation, an extreme measure has been taken: the creation of a semi-dictatorial society, a fabricated paradise where every action is controlled, and individuals—deemed incapable of managing their freedom—are now confined by a dense web of constraints. 

The story follows a couple (played by Himesh Patel and a surprising Elizabeth Olsen) who appear to enjoy an idyllic life in this regimented world, despite its bleak and impersonal atmosphere. Wide exterior shots reveal a barren landscape, and their futuristic villa exudes sterility, painted in the coldness of artificial colours. In this new, surreal, impersonal society, the couple wishes to have a child but must first pass an assessment: they are required to live with a woman (Alicia Vikander) who will evaluate their suitability to become parents.

The protagonists endure and overcome a series of trials that grow increasingly senseless and extreme. Set against an oppressive rhythm, the haunting soundtrack accompanies the couple through a spiral of madness, where free will is sacrificed in the name of a greater good and an ostensibly perfect society. Yet, one final choice remains: to continue living in an artificial world dominated by illusion and control, or to return to the scarred real world, but as free individuals.

Through its sci-fi lens, The Assessment tackles universal themes such as climate change and free will, while also addressing intimate and personal issues like motherhood. By drawing on genre conventions, it provokes thought and invites reflection on these pressing and timeless questions. 

“THE ASSESSMENT” DI FLEUR FORTUNÉ

Presentato in anteprima all’ultimo Toronto International Film Festival, The Assessment è ambientato in un futuro distopico non troppo lontano, in cui l’umanità è la principale responsabile della distruzione del mondo e la causa dei mutamenti climatici che lo hanno devastato. A questa situazione catastrofica è stata trovata una soluzione estrema: la creazione di una società semi-dittatoriale, un paradiso fittizio in cui ogni gesto è controllato, e le persone, evidentemente incapaci di gestire la propria libertà, sono ora strette in una fitta rete di vincoli.

La coppia protagonista (interpretata da Himesh Patel e da un’atipica Elizabeth Olsen) sembra vivere felicemente in un mondo ideale, nonostante l’atmosfera sia desolante e anonima: i campi lunghi degli esterni mostrano un paesaggio arido e la loro futuristica villa è asettica, dipinta dalla freddezza di colori artificiali. In questa nuova società impersonale e surreale, la coppia vorrebbe avere un figlio, ma ha bisogno di superare un esame: convivere con una donna (Alicia Vikander) che verifichi l’adeguatezza dei due partner a diventare genitori. 

I due protagonisti resistono e superano una serie di prove che diventano sempre più insensate ed estreme. Cadenzata da un ritmo angosciante, la colonna sonora accompagna la coppia in una spirale di follia, in cui il libero arbitrio è messo da parte in nome di un bene superiore e di una società apparentemente perfetta. Eppure, un’ultima scelta è ancora possibile: continuare a vivere in un mondo artificiale nel quale la finzione e il controllo sono padroni, oppure tornare nello sfregiato mondo reale, ma da uomini liberi.

Attraverso la fantascienza, The Assessment affronta temi universali come il cambiamento climatico e il libero arbitrio, ma anche questioni intime e private come la maternità, riuscendo così a ricorrere agli stilemi di genere per innescare un’interessante riflessione.

Pietro Torchia

“THE BLACK SEA” BY DERRICK B. HARDEN AND CRYSTAL MOSELLLE

Article by Orazio Oztas

Translation by Martina Perrero

The American Dream is a central theme in American cinema. “Dreamers” manifest themselves in different forms: on the one hand, character groups, such as those of Martin Scorsese and Francis Ford Coppola, whose mafia gangs offer a stark depiction of the lust for wealth and success; on the other hand, lonely dreamers, individuals willing to go to any lengths to pursue great ideals. However, stories that reflect the American Dream outside United States’ borders are often overlooked, demonstrating how these universal aspirations transcend cultures and geographies. Moreover, there are narratives inspired by this theme that do not resort to exaggeration but achieve a sober and realistic balance.

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And it is in the film The Black Sea that these dynamics become most prominent. The protagonist, Khalid, a young African American man with high ambitions, dissatisfied with his job at a bar in Brooklyn, decides to quit after being contacted by a Bulgarian woman on Facebook, who offers him ten thousand euros to spend time with her. However, upon his arrival in the Balkans, he discovers that the woman is deceased, thus initiating his financial exile in an unfamiliar land. Directors Derrick B. Harden and Crystal Moselle follow the journey of Khalid, played by Harden himself, as he tries to integrate into a foreign community, exploring themes of individual aspiration and loneliness, similar to those addressed by Kubrick in Barry Lyndon. The adjustment process in the small town bathed by the Black Sea, which the film’s title refers to, proves to be complex; Khalid must take any available job to survive. His situation has drastically changed: necessity now guides his choices. However, he develops a friendship with a Bulgarian woman, and together they manage to merge their ambitions; this will allow them to find a balance that will enable them to achieve their desired success without erupting into conclusions of ethical and moral decay.

“THE BLACK SEA” DI DERRICK B. HARDEN E CRYSTAL MOSELLLE

L’American Dream è un tema centrale nel cinema americano. I “dreamers” si manifestano in diverse forme: da un lato, i gruppi di personaggi, come quelli di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, le cui gang mafiose offrono una rappresentazione cruda della brama di ricchezza e successo; dall’altro, i solitari sognatori, individui disposti a superare ogni limite per perseguire ideali grandiosi. Tuttavia, spesso si trascurano le storie che riflettono l’American Dream al di fuori dei confini statunitensi, dimostrando come queste aspirazioni universali trascendano culture e geografie. Inoltre, esistono narrazioni ispirate a questo tema che non ricorrono all’esagerazione, ma raggiungono un equilibrio sobrio e realistico.

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Ed è proprio nel film The Black Sea che queste dinamiche si evidenziano con maggiore rilevanza. Il protagonista Khalid, un giovane afroamericano con grandi ambizioni, insoddisfatto del suo lavoro in un bar di Brooklyn, decide di licenziarsi dopo essere stato contattato da una donna bulgara su Facebook, che gli offre diecimila euro per trascorrere del tempo con lei. Tuttavia, scopre al suo arrivo in territorio balcanico, che la donna è deceduta, avviando così il suo esilio economico in terra sconosciuta. I registi Derrick B. Harden e Crystal Moselle seguono il percorso di Khalid, interpretato dallo stesso Harden, mentre cerca di integrarsi in una comunità estranea, esplorando temi di aspirazione individuale e solitudine, simili a quelli affrontati da Kubrick in Barry Lyndon. Il processo di adattamento nella cittadina bagnata dal Mar Nero, a cui si rifà il titolo del film, si rivela complesso; Khalid deve trovare qualsiasi lavoro disponibile per sopravvivere. La sua situazione è drasticamente cambiata: ora la necessità guida le sue scelte. Tuttavia, sviluppa un’amicizia con una donna bulgara e insieme riescono a fondere le loro ambizioni, questo permetterà loro un equilibrio che gli consentirà di realizzare il successo desiderato senza sfociare in conclusioni di disfacimento etico e morale.

Orazio Oztas