Il regista spagnolo Pablo Berger e l’Arcadia Motion Pictures rinnovano la collaborazione per creare il loro primo film in animazione 2D. Come per il precedente Blancanieves (2012) – muto e in bianco e nero – il regista sente il bisogno di ricongiungersi con l’essenza del cinema dei primi decenni del Novecento. Anche per Robot Dreams volge uno sguardo al passato, nello specifico all’animazione tradizionale, affascinato dalle sue illimitate possibilità di narrazione e rappresentazione. Berger riesce ad affrontare la sfida della tecnica a passo uno (frame by frame) con semplicità, grazie all’abitudine di creare gli storyboard che gli ha permesso di assimilare un processo ideale per lo sviluppo dell’animazione.
L’ispirazione di Robot Dreams sono le immagini dell’omonima graphic novel di Sara Varon, che ha indirizzato il film verso lo stile grafico ligne claire. Partendo dalle immagini di Varon, con la collaborazione del direttore artistico José Luis Ágreda e quello di Benoît Feroumont per l’animazione, Berger è riuscito a sviluppare concetti, personaggi e sfondi ideali per la trasposizione cinematografica. In un film d’animazione gli artisti e gli animatori possono diventare gli “attori” e, per questo, il regista decide di non usare voci e dialoghi puntando sulla forza espressiva del racconto per immagini, accompagnate da una giungla di suoni che perfettamente descrivono la colorata atmosfera urbana degli anni Ottanta.
Robot Dreams riflette sui rapporti d’amicizia ma soprattutto sull’accettazione della perdita. Dog vive a Manhattan ed è stanco della solitudine. Così decide di costruirsi un robot, un compagno. L’ amicizia sboccia, e i due diventano inseparabili. Purtroppo una notte d’estate Dog è costretto ad abbandonare Robot su una spiaggia. Da questo momento i sogni di Robot, espressione delirante del desiderio di incontrare nuovamente l’amico, diventano l’essenza del film. Il mondo onirico in cui veniamo trasportati mostra ancora una volta l’attenzione verso il cinema del passato – omaggiato in particolare attraverso richiami a Charlie Chaplin e a Sherlock Jr. (1924) di Buster Keaton. Dinamici e inattesi colpi di scena si susseguono fino all’inverosimile, tenendo via l’attenzione dello spettatore che continuerà a domandarsi se i due amici riusciranno mai a rincontrarsi.
Angela Borraccio