Una storia semplice, comunitaria, piena di speranza, quella che Wannes Destoop mette in scena in Holy Rosita, opera prima del regista belga.
Rosita (Daphne Agten) vive in un caseggiato popolare, svolge lavori di vario tipo e trascorre gran parte del suo tempo libero in compagnia dei bambini del quartiere, gli unici capaci di donarle qualche momento di spensieratezza. Rosita ha un unico sogno, quello di diventare madre. Tuttavia, proprio quando riesce a rimanere incinta, la protagonista comincia a essere tormentata dai dubbi, dettati dall’incertezza di essere all’altezza del ruolo, dai problemi economici e dai giudizi della comunità in cui vive.
Una storia, quella di Holy Rosita, che è una danza di contraddizioni. Gli eventi del film, le emozioni che provano i personaggi, fluttuano tra momenti di gioia e dolore come se fossero passi di una coreografia invisibile, passi di quella stessa danza che Rosita esegue nei momenti più tristi. Contraddizioni che si scorgono anche nel corpo della protagonista: accogliente e avvolgente ma, nei campi stretti della macchina da presa, anche opprimente e soffocante. O, ancora, nel suo essere una persona adulta e desiderosa di diventare madre e al contempo mossa da uno spirito bambinesco che non vuol farsi da parte.
Un storia, dunque, che si concentra sulla ricerca, tanto voluta quanto tormentata, di un figlio. Ed è proprio attraverso questa gravidanza che Rosita arriva a una catarsi, accettando la possibilità di crescere, di cambiare e di evolvere, non solo come madre ma anche come donna. Una catarsi legata alla consapevolezza che la maternità non la limita bensì la spinge a scoprire le proprie potenzialità, a fare i conti con le proprie paure, e infine a riconciliarsi con le parti di sé che forse aveva represso o ignorato.
Tommaso Del Latte