Siamo spesso poco clementi con il cinema italiano di finzione. Tendiamo a considerarlo come uno scatolone pieno di prodotti scadenti o poco coraggiosi, ma film come Il corpo ci dimostrano che siamo in errore.
Remake dell’omonimo film spagnolo di Paulo Oriol, Il corpo di Vincenzo Alfieri è un’opera curata quasi maniacalmente in ogni dettaglio, a partire dalla sceneggiatura. Un’attenzione che si estende sull’intero arco produttivo grazie al ruolo e al controllo che l’autore può esercitare: ideatore, sceneggiatore, regista e montatore del film, Alfieri sembra essere, insomma, un demiurgo. Uno status che molti criticheranno poiché, da che mondo è mondo, il cinema è lavoro di squadra. Pochi comprenderanno, invece, che è stata proprio questa condizione a determinare la vittoria degli intenti. Un thriller d’autore di questo calibro non può che essere guidato da una sola mente brillante, quale quella di Alfieri è.
Due le sfere principali di interesse: il suono e l’immagine. D’altronde, come afferma il regista: “I suoni sono la vita, noi siamo fatti di suono”. Non è allora un caso se il lavoro sul suono inizia fisicamente sul set per poi essere affinato in post-produzione. Il silenzio iniziale lascia spazio solo in un secondo momento al cigolio di una porta che ci introduce in un’atmosfera cupa e temibile. E subito la frase, fatidica, attorno a cui viene costruita l’intera narrazione: “Mia moglie mi ha sposato per fare dispetto a un uomo e presto ho scoperto che quell’uomo ero io”.
La protagonista, interpretata da Claudia Gerini, è una donna di potere, sola e subdola, che trasforma la malinconia in cattiveria. Il suo nome è Rebecca. Una scelta affatto casuale che, in maniera non particolarmente velata, rimanda all’universo hitchcockiano e che appare come un vortice da cui non è possibile uscire. Dall’inizio alla fine, per esempio, il film gioca sui colori rosso, nero, verde, giallo, utilizzati analogamente a quanto accadeva ne La donna che visse due volte.
L’ampia conoscenza del cinema e della serialita è l’ingrediente con cui realizzare un film che trova la giusta misura – né troppo legato al passato né forzatamente innovativo. Dai riferimenti ai grandi autori del cinema contemporaneo ai giovani attori scoperti dal regista guardando Summertime e Boris, il film gioca d’azzardo provando a migliorare qualcosa che abbiamo già visto, cercando però di trarne un prodotto nuovo. Scommessa vinta.
Elisa Gnani