Dopo una serie di cortometraggi incentrati su questioni politico-sociali, Mara Tamkovich esordisce con il suo primo lungometraggio dall’evocativo titolo Under the Grey Sky che riporta lo spettatore alle vicende seguite alle elezioni bielorusse del 2020 e ai fatti di Piazza del Cambiamento a Minsk dove, dopo la proclamazione di Lukashenko, durante una manifestazione pacifica la polizia antisommossa attaccò i manifestanti inermi compiendo arresti e violenze.
È l’inizio di una narrazione serrata e drammatica che per circa ottanta minuti si concentra sulla prigionia della giornalista Lena (Aliaksandra Vaitsekhovic), arrestata per aver commentato i fatti in diretta streaming. Una regia semplice ma estremamente incisiva fatta di lunghi primi piani, inquadrature fisse, una fotografia fredda e naturale che racconta la storia della giornalista attraverso lo sguardo del marito Ilya (Valentin Novopolskij) quasi sempre chiuso in spazi grigi e angoscianti in cui dominano il silenzio e l’angoscia.
Tutto il film evidenzia la cruda realtà della repressione in un regime totalitario che impedisce ogni forma di espressione e di libero pensiero imprigionando e mettendo a tacere ogni voce divergente. Una testimonianza viva e preoccupante, più che mai attuale, di come i sistemi politici basati sul controllo sociale reprimano con la censura e la coercizione ogni tentativo di raccontare e di documentare la realtà. Un’occasione di riflessione profonda su quello che ogni cittadino può fare, su quello che l’arte può fare e su come il cinema possa avere ancora il potere di restituire sensazioni e atmosfere prendendo posizione.
Davide Lassandro