Con Without Blood, Angelina Jolie continua a fare delle battaglie civili il centro della sua carriera da regista; tuttavia, il risultato non riesce a raggiungere la profondità emotiva e narrativa che ci si aspetterebbe. Tratto dal romanzo dello scrittore torinese Alessandro Baricco, il film promette di esplorare la psiche dei protagonisti segnati dalla violenza della guerra, ma il suo approccio a tratti astratto e la mancanza di un vero sviluppo emotivo lo rendono più un esercizio intellettuale che un’esperienza realmente coinvolgente.
Immerso in un luogo e in un tempo indefinito, il film si apre con il violento omicidio della famiglia di Nina (Salma Hayek), vittima di un crudele regolamento di conti. Con un’ellissi temporale, ritroviamo Nina ormai adulta, che cammina da sola verso un’edicola, il cui proprietario, Tito (Demián Bichir), è uno dei responsabili di quella violenza consumatasi anni prima. Il film si snoda in una lunga conversazione tra i due, un dialogo che si fa lento e profondo, interrotto da ricordi che emergono improvvisi, come frammenti di un passato irrisolto, portando con sé i fantasmi di antichi traumi.
La decisione della regista di aderire rigidamente al testo originale, come dichiarato in conferenza stampa, è una scelta consapevole, ma che rischia di limitare il potenziale cinematografico del film. In più di un’occasione, questa fedeltà quasi religiosa al romanzo sembra costringere la pellicola entro i confini ristretti del linguaggio letterario, piuttosto che liberarla nell’espressione visiva e narrativa del cinema. Ogni scena appare come un omaggio che non osa evolversi, un’eco che rimbalza tra le pagine senza riuscire a prendere vita propria. E proprio come un’eco che svanisce nell’infinito, Without Blood lascia lo spettatore con più domande che risposte, eppure, nonostante tutto, qualcosa di profondo continua a risuonare, come il sussurrio impercettibile di un dolore mai veramente curato.
Tommaso Del Latte