“LA ANATOMÍA DE LOS CABALLOS” DI DANIEL VIDAL TOCHE

Le rivoluzioni, di qualunque genere, esistono da sempre e hanno incessantemente plasmato il corso della storia. Ma qual è il loro scopo? Perché si combattono? E contro chi? Queste sono le domande che definiscono il primo lungometraggio di Daniel Vidal Toche, La anatomía de los caballos, presentato al 43° Torino Film Festival. Il regista, originario del Perù, realizza un’opera cinematografica inconsueta e personale, dipingendo il rapporto tra una terra e il popolo che l’abita filtrato dal complesso e contraddittorio tema della rivoluzione.

Nel XVIII secolo, durante la fuga da alcuni soldati spagnoli, il rivoluzionario Ángel Pumacahua (Juan Quispe Mollenido) percorre la strada di ritorno al suo villaggio a Puno e si ritrova improvvisamente catapultato nelle Ande peruviane del XXI secolo. Un meteorite ha aperto un varco spazio-temporale tra le due epoche. In questo nuovo presente incontra Eustaquia (Edith Ramos Guerra), donna alla ricerca della sorella gemella scomparsa in seguito al dissidio manifestato nei confronti di un’azienda mineraria che inquinava le acque locali. L’incontro porterà i due protagonisti a interrogarsi sulla ricorsività del tempo e sul senso delle rivoluzioni.

L’inusuale scelta del rapporto 1.66:1, opportuna via di mezzo tra 4:3 e 16:9, contribuisce alla creazione di una particolare simbiosi fra cielo e terra, tra uomo e natura, costringendo i personaggi in uno spazio fisicamente claustrofobico ma metaforicamente aperto al confronto con l’ambiente, la terra e le tradizioni. I vasti panorami delle Ande sono infatti incorniciati dall’utilizzo di obiettivi grandangolari e dal posizionamento dell’orizzonte sempre al centro dell’inquadratura. I principi e gli ideali della rivoluzione si materializzano nella figura della donna scomparsa, la quale, apparendo ripetutamente nei sogni di Ángel, funge da pretesto per permettere ai due personaggi di sviluppare la riflessione sul tema durante l’intero corso dell’opera. In contrapposizione al pensiero di Eustaquia, ormai disillusa dai vani tentativi di rivoluzione passati e presenti – pur sempre auspicabili – che ormai contribuiscono esclusivamente all’aumento di morti e violenze, la visione di Ángel diviene àncora di salvezza per la speranza di un futuro fatto di sincero rinnovamento ed evoluzione, come un portone aperto per il solo desiderio di volerlo ardentemente, nonostante non si conosca cosa si cela dietro di esso.

Risulta quindi emblematico il finale in reverse: la carrellata a precedere della camera posta sulla coda di un treno rappresenta l’impossibilità di risolvere una condizione che si ripete da secoli, mentre il tempo, inesorabilmente, continua a scorrere.

Davide Lassandro

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