“QUE MA VOLONTÉ SOIT FAITE” DI JULIA KOWALSKI

Julia Kowalski presenta a Torino il suo secondo lungometraggio di finzione Que ma volonté soit faite, già selezionato a Cannes nella sezione Quinzaine des Cinéastes. La regista racconta una storia dai toni cupi, completamente immersa nelle aree rurali francesi, in cui una famiglia di immigrati polacchi – come furono i suoi genitori – gestisce un allevamento di mucche. Stalle e campagne sono gli orizzonti visivi di una vicenda oscura, intrecciata saldamente a fede e peccato, redenzione e dannazione.

Il film si apre con un flashback che ci informa immediatamente del tragico passato di Nawojka (Maria Wróbel), una bambina costretta ad assistere all’orrenda morte della madre sul rogo. La voce narrante della protagonista dichiara però che il diavolo che ha corrotto la donna finirà per impossessarsi anche di lei. Atmosfere nebbiose e una fotografia dai toni freddi sono scaldate da alcune inquadrature dominate invece da sangue e fuoco. Parecchi anni dopo, Naw è divenuta una giovane adulta timorata di Dio, remissiva e servile con gli uomini che la circondano e che compongono il suo nucleo familiare: il padre Henryk e i due burberi fratelli Bogdan e Tomek. Ogni componente della casa è alla ricerca di un luogo di salvezza – per i due fratelli il lavoro, per Naw ed Henryk la fede.   

Ma tutto nel paese – che è metafora del mondo – è malato, a partire dall’allevamento, sterminato dal misterioso virus che lascia le mucche senza vita in una pozza viscosa e biancastra à la Matthew Barney, sostanza che sembra suscitare l’attrazione perversa della protagonista. Lo sguardo di Naw – benché ventenne ancora inesperta sessualmente – satura l’atmosfera di ormoni adolescenziali e senso di colpa cattolico, in particolar modo quando le soggettive della camera indugiano sulle gambe di Sandra (Roxane Mesquida), giovane donna libertina che diventerà agli occhi del paese il volto del peccato. La ricerca dell’espiazione porta Nawojka a dolorosi e intensi momenti di trance in cui il volto si deforma dalla sofferenza e il corpo si contorce come impossessato, concedendo allo spettatore un assaggio delle sorprendenti capacità attoriali di Wróbel.

Durante il matrimonio di Tomek, i canti tradizionali polacchi fungono da colonna sonora alla festa che porta al culmine della tragedia. In un susseguirsi di immagini simboliche, la morte – rappresentazione di un passaggio purificativo – viene messa in scena senza eccessi spettacolari. Gli abitanti sono stretti nella morsa che li costringe a lottare tra la terra peccaminosa e la redenzione divina, ma Dio in quelle terre non arriva e le uniche soluzioni sono la fuga o la morte.

Il film diventa un’ampia riflessione sul rapporto tra le donne e le comunità di cui fanno parte, offrendo così allo spettatore la possibilità di fronteggiare l’ignoto. Una possibilità da esplorare con curiosità e fede nel cinema.


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