“Che cos’è la felicità?” è una domanda che tutti ci siamo posti almeno una volta nella vita: diverse le risposte, ma forse tutte limitate ad un’interpretazione individualista della felicità. Esattamente quello che Maurizio Zaccaro ha voluto evitare quando ha deciso di partire da quest’interrogativo per realizzare La felicità umana.
“Forse il pubblico dal titolo del film si aspettava una serie di interviste alla gente comune per strada, ma per me la felicità è un termine prettamente economico” spiega il regista nella conferenza stampa. Il discorso di Zaccaro si pone subito in termini sociali e politici: è impossibile parlare di felicità senza essere consapevoli di cosa sta accadendo nel mondo, bisogna assumere un punto di vista che vada oltre la nostra personale interpretazione e che possa abbracciare una visione più ampia possibile, che tenga conto in primis della felicità come benessere sociale. La citazione di Seneca in apertura è, in questo senso, decisamente emblematica e necessaria per comprendere l’approccio scelto da Zaccaro e da chi lo ha coadiuvato nella realizzazione del film (tra i tanti, Ermanno Olmi e Bruno Bozzetto): “Povero non è colui che possiede poco, ma colui che desidera di più”. È questo il punto di partenza per una riflessione che mira a dimostrare come il concetto di felicità debba essere collettivo e non individuale: un divario esagerato e insanabile tra ricchi e poveri rende inevitabilmente infelici entrambi, i primi perché il denaro non basta a rendere un ambiente sociale felice e sereno e a compensare il malessere del resto della popolazione; i secondi perché vittime indifese di una condizione di indigenza che arriva a privarli della loro dignità di esseri umani. Profughi abbandonati al loro destino, frontiere che diventano simboli di una separazione irrisolvibile tra mondi che dovrebbero saper dialogare tra loro, storie di viaggi in condizioni disumane per fuggire da territori che non possono offrire nulla, azioni violente in nome di un cieco estremismo religioso: sono solo alcune delle immagini scelte dal regista per invitare lo spettatore a riflettere.
Le voci che intervengono nel corso del film sono moltissime: Sergio Castellitto che legge alcuni passi del Mare al mattino di Margaret Mazzantini, Ermanno Olmi, Serge Latouche, André Comte-Sponville, Bruno Bozzetto, Jose Pepe Mujica (che con vigore ricorda che “siamo venuti al mondo per essere felici”), Stefano Bartolini, Aleida Guevara e tanti altri.
Per quanto riguarda l’ispirazione, Zaccaro racconta che arriva da un libro scoperto quasi per caso quando era ancora adolescente, La conquista della felicità di Bertrand Russell, che rappresenta il germe della riflessione sul tema in questione. Si tratta di un film “necessario”, insomma, che il regista sentiva di dover realizzare. Ci sono voluti tre anni e mezzo per ultimare questo documentario che, ci tiene a precisare il regista, “non è fatto di interviste, ma di incontri e di riflessioni che dovrebbero portare a interpretare questo interrogativo come una provocazione: per questo ho intrapreso questo viaggio in giro per il mondo. Perché la gente parla così facilmente di felicità senza riflettere minimamente sul valore economico di questo concetto?”
Un film toccante, attuale, che fa riflettere e che tutti dovrebbero vedere. L’augurio del regista è quello di poter diffondere il film nelle scuole, con l’intento di esortare i giovani a confrontarsi con la realtà problematica che li circonda.