C’è una città in questo nostro mondo che è specchio dei tempi in cui viviamo; c’è un luogo in questa città che ne è una metafora in piccolo. Parigi e le sue discoteche: varia umanità, studenti, avanzi di galera, ragazzini, travestiti, aspiranti attrici, spacciatori, gente comune si intrecciano e si incontrano. Ognuno cerca qualcosa, ciascuno spera di superare un ingresso filtrato dalle discriminazioni.
Gli ex rapper e neo registi Mohamed «Hamé» Bourokba ed Ekoué Labitey sono profondi osservatori di quella realtà al neon, fradicia di superalcolici, e tra il puzzo di sigarette al chiuso e strisce di sostanze proibite ambientano la loro storia. Pedinano con carrellate laterali in stile nouvelle vague quattro personaggi estremamente diversi: Nas, giovane ribelle appena uscito di prigione, il fratello Arezki, in conflitto con le proprie radici, poi un imprenditore spregiudicato e un’avvocatessa scrupolosa. Nessuno di loro viene lasciato da solo, ma tutti sono descritti in profondità, a partire dagli accompagnamenti musicali potentissimi, adattati su misura come abiti sartoriali. Ma sono abiti pieni, di corpi e di anime, che si muovono nella notte e nelle sue luci artificiali. La miccia si accende a partire da una disputa fraterna, sulla conduzione di un bar a Pigalle, e la vicenda esplode in parole come fiducia, onestà, furbizia, rendiconto, duro lavoro, riconoscenza. Tutti temi cruciali che possono appannare quell’unico valore che mai abbasserà la saracinesca: l’amore. Di strada, di toilette, l’amore di un paese lontano e quello di un amico sconosciuto. Il film parla di questo rischio e quel che ne esce è una poesia.