Pur rientrando nella selezione After Hours ed essendo trattato da internet come un film di paura, con gli stilemi dell’horror questo The Cured ha poco da spartire. Verrebbe anzi da dire che catalogarlo nel novero degli horror movie è come pretendere di infilare la Mole Antonelliana in un tubino di Melissa Satta, per la varietà di spunti che esulano dalla tradizione del genere e per la grande attenzione dedicata ad aspetti che poco ci hanno a che fare. L’epidemia zombie è presente, è vero, ma è anche perfettamente sotto controllo. In Irlanda l’epidemia è nata e in Irlanda è rimasta, gli zombie più che mangiare le persone non infette sembrano guidati dai più violenti istinti animali, ma le scene degli attacchi sono in certa misura “delicate”. Giusto un verso ferale, uno scatto improvviso. Non c’è né il meccanismo splatter, né quello di costruzione dell’angoscia, togliendo un paio di “bubusettete” autoconclusivi che ricordano più gli scherzi tra amici che il genere horror. Questo film è altro.
Ambientato in una dimensione distopica del nostro tempo, The Cured racconta la storia di un’epidemia zombie che ha messo in ginocchio l’Irlanda, ma alla quale si è trovata una cura. I guariti possono così tornare nella società, pur segnati dai ricordi di quando erano infetti.
Partendo da questo presupposto si dipana una storia credibile ed angosciante, in cui la reintegrazione degli infetti diventa sottotesto prepotente e rumoroso, un sottotesto che urla e instaura paralleli illuminati con situazioni che viviamo quotidianamente.
Freyne riesce a trattare queste situazioni veicolando in maniera intelligente e delicata i punti di vista di entrambe le prospettive, e soprattutto riesce a non scadere nel retorico pur trattando argomenti con i quali questo rischio è decisamente concreto.
Il meccanismo ci restituisce dunque un qualcosa che ha a che fare con il thriller drammatico, nel quale il dualismo buono/cattivo si muove su una linea pressoché inesistente e sta allo spettatore scegliere il personaggio di cui prendere le parti: è infatti interessante osservare come, se con il protagonista è molto facile costruire un’mpatia, tra i due personaggi che gli orbitano intorno si costruisca il dualismo su cui si fonda realmente il film, constringendo lo spettatore a prendere una posizione.
Ecco qui il nodo cruciale del film: interrogare lo spettatore parlando di altre cose, utilizzando la tecnica quasi pedagogica del parallelo e anche grazie all’interazione col media televisivo, dunque il telegiornale e il talk show.
The Cured scuote dunque lo spettatore con una delicata fermezza, utilizzando il meccanismo dell’horror come puro pretesto per una narrazione che prende sin da subito altre tangenti. Tangenti che permettono a Freyne di raccontarci una storia di reintegrazione e di violenza, uno sguardo talmente attuale da lasciare nello spettatore la sensazione che, di una prospettiva simile, c’era assolutamente bisogno.