Il Lovers Film Festival rinnova il concorso Future Lovers, dedicato ai cortometraggi, al quale possono partecipare film italiani e internazionali di qualunque genere e formato. Il vincitore riceverà il Premio Fotogrammi Sovversivi, assegnato dalla giuria composta da studenti DAMS dell’Università degli Studi di Torino, coordinati da Massimiliano Quirico.
Domenica 22 aprile la seconda serata, in cui abbiamo potuto fruire in sala di sei cortometraggi, accomunati da alcune tematiche, ma differenti nelle modalità di comunicazione con lo spettatore.
Ad aprire la serata Odio il rosa, film fuori concorso di Margherita Ferri, che affronta la tematica dell’ideologia gender con un approccio decisamente inusuale. Il cortometraggio, infatti, concepito come un documentario, guarda da vicino la vita di una bambina di 9 anni dell’Emilia Romagna, Violante Di Nuzzo, che è già consapevole della sua identità di genere da quando aveva 4 anni ed è certa di voler essere un maschio. La macchina da presa osserva con grande delicatezza la tranquilla quotidianità di una bambina e della sua famiglia: assistiamo alle sue gare di break dance accompagnata dai genitori, agli allenamenti fisici nella sua stanza, ai balletti vestita da spiderman, Alle immagini di vita quotidiana si alternano i video di una Violante ancora più piccola, che già spigliata ed intelligente rifiuta le imposizioni di una società che classifica i generi e che le chiede di vestirsi e comportarsi in una certa maniera. Lo spettatore ha la possibilità di ascoltare il punto di vista della piccola protagonista e della sua famiglia. “Bisogna lasciare liberi i figli”, così la madre di Violante si rivolge al pubblico, un pubblico che ha bisogno di comprendere quanto siano importanti queste parole. In sala la regista ha spiegato che nei suoi incontri con Violante non si è mai fatta menzione di quello che lei sarà da grande, poiché lei e la sua famiglia stanno vivendo passo dopo passo la sua crescita, lasciandole la possibilità di scegliere. Un film con un punto di vista interessante e inedito, in cui la spontaneità dell’infanzia diventa parola, forte e rivoluzionaria.
Three Centimetres di Lara Zeidan è il secondo cortometraggio proiettato nella serata. Un movimento di macchina piuttosto deciso ci porta dal basso di un edificio, oltre il tetto di quest’ultimo, su, nel cielo di Beirut. La camera si muove nuovamente in discesa, dandoci modo di comprendere finalmente dove ci troviamo: siamo su di una giostra e quattro amiche come tante stanno per salire, mentre chiacchierano scherzosamente di tematiche sessuali legate ai loro fidanzati. Le giovani donne si accomodano felici sui sedili, ma una di loro, durante la salita, rivela di essere lesbica: la giostra si blocca a causa di un breve black out e per qualche minuto anche il tempo si sospende. “Non puoi essere gay, tuo padre è un deputato!”, così una delle amiche la apostrofa bruscamente. I primissimi piani di ciascuna ragazza restituiscono allo spettatore una condizione di costrizione, la stessa che sta vivendo la protagonista, bloccata in una panchina sospesa nel cielo con persone che non comprendono la sua sessualità. La regista ci dà modo di vivere una situazione di disagio e di ansia attraverso l’escamotage della giostra, che infatti una volta sbloccatasi e tornata in basso, dona al film la sua conclusione, come se si ci potesse esprimere solo in un mondo ideale e, non capiti, si tornasse poi con i piedi per terra.
Terzo cortometraggio, Green Tea di Chiara Rap, tratta la tematica della perdita dell’amore e della ricostruzione di una vita dopo di essa. Francesca si sveglia con accanto una ragazza con la quale ha trascorso la notte e si dirige in cucina per preparare la colazione; lì incontra Diana che le racconta della sua notte di passione, paragonandosi ripetutamente alla partner con la quale l’ha appena trascorsa; il discorso si snoda su più aspetti e si focalizza sui gusti dell’attuale ragazza di Francesca, che non gradisce il caffè e beve solo the verde. Al dialogo con Diana si sovrappongono le immagini di un ricordo lontano, una telefonata dolorosa ricevuta nel passato. Lo spettatore si muove lungo i corridoi della storia, fino a scoprire, sul fondo, che Diana è solo una sorta di fantasma, la ragazza con cui Francesca stava che, come ha anche confermato la regista presente in sala, le sta dando una sorta di lasciapassare per andare avanti, per vivere la sua nuova vita conservando il passato e costruendo un presente insieme alla donna del the.
Wren Boys di Harry Lighton è il quarto cortometraggio in programma. Le società in cui crescono, radicati e saldi, alcuni credo religiosi, hanno un immaginario legato ai sacerdoti piuttosto definito e non accettano vedute differenti da parte di uomini che sono designati come portatori di parola. Padre Conor, il protagonista del film, accompagna suo nipote in carcere per permettergli di convolare a nozze con il suo fidanzato detenuto. La possibilità di scegliere e di rispettare le scelte e i sentimenti altrui supera il credo di Padre Conor, ma le sue azioni dettate dall’affetto lo condurranno ad una crudele fine per mano di chi non è pronto ad accettare. La fredda crudeltà del prossimo ci viene mostrata in modo diretto e brutale, il corpo del prete esanime è il corpo di chi ha superato le costrizioni del passato per onorare l’amore, un amore che la tradizione fa fatica a vedere.
La memoria è come una sorta di recipiente, dentro il quale si conservano ricordi, che emergono se richiamati da situazioni del presente. Marguerite di Marianne Farley è il quinto cortometraggio proiettato in sala e vede proprio il concetto di memoria al centro della sua storia. Marguerite è un’anziana donna molto malata, che riceve assistenza domestica da Rachel. Venuta a conoscenza del fatto che Rachel abbia una ragazza, la memoria di Marguerite prende il sopravvento e i ricordi di un passato contornato di rimpianti si fanno spazio nella sua vita solitaria. La tenerezza di una donna che è stata innamorata, ma non ha mai rivelato i suoi sentimenti per paura di destare scandalo, emerge in ogni singola scena del film. Rachel rappresenta per l’anziana donna la Cécile a cui non ha mai aperto il suo cuore e al contempo la freschezza del presente, da cui attingere informazioni su un amore che non ha mai potuto vivere. Un dolce ritratto di sentimenti nascosti da paure e insicurezze.
Nel 2015 Fernando Machado ha annunciato di essere incinto, insieme alla sua fidanzata trans Diane Rodriguez, suscitando la grande attenzione dei media di tutto il mondo. Sununù: The Revolution of Love di Olivia Crellin chiude la serata raccontandoci questa storia vera di amore e rivoluzione. La coppia trans ha deciso di avere un bambino lanciando al mondo semplicemente un messaggio d’amore. Lo sguardo della regista si posa sulla vita della coppia e sulla loro attività di divulgazione nelle scuole e nei luoghi preposti alla politica. Il nome del nascituro è appunto Sununù, termine indigeno senza genere e che ha il significato di rivoluzione, una rivoluzione che permetterà ai sentimenti di muoversi liberi tra le persone.
Rivoluzione, rivelazione, memoria, scelta, superamento: queste le parole chiave di una serata di cortometraggi in cui sicuramente l’amore è il punto di contatto, il nodo tra le corde e la verità più sincera.