“THE ARTIST AND THE PERVERT” DI BEATRICE BEHN E RENÉ GEBHARDT

Georg-Fredrich Haas, per chi non lo sapesse, è uno dei più influenti compositori del XXI secolo, uno dei pochi musicisti che vede innalzare una propria opera a capolavoro mentre è ancora in vita. È un artista sofisticato ma non intellettuale, che beve venti caffè mentre lavora quindici ore al giorno nel suo appartamento a New York.

Georg ha conosciuto Mollena Williams, attivista, scrittrice e educatrice sessuale afroamericana, su OKCupid, una piattaforma d’incontri online, nel dicembre 2013, presentandosi umilmente come “probabilmente tra i migliori 10 o 20 artisti del mio genere” – poche ore dopo i due erano già aggrovigliati tra le lenzuola.

Ciò che rende Mollena e Georg i protagonisti di questo documentario, è l’interesse dei due registi Beatrice Behn e René Gebhardt per la loro relazione BDSM. 

Nel 2019 il BDSM non è ancora socialmente accettato, e molti nemmeno sanno esattamente che cosa sia. A titolo informativo, stiamo parlando dell’acronimo di “Bondage, Domination, Sadism & Masochism”, ovvero tutte quelle pratiche erotiche che coinvolgono il dolore, la sottomissione e il disequilibrio di potere tra i partner. Perverso, vero? Se siete spettatori della quarta edizione del “Fish & Chips International Erotic Film Festival” dovete arrivare preparati su certe tematiche.

Vincitore del Concorso Documentari ed alla prima proiezione in Italia, The Artist & The Pervert  vanta una storia fuori dal comune soprattutto in termini di deflagrazione mediatica. Da Venere in Pelliccia  di Von Sacher-Masoch a oggi, il mondo è stato abitato da milioni di coppie sadomasochiste, ma mai una che abbia parlato di sé così apertamente. Una donna afroamericana è sottomessa a un artista austriaco, figlio di nazisti: chiunque può scagliare serenamente la prima pietra. Nonostante i pregiudizi taglienti che giungono da ogni parte, visto anche il peso dei protagonisti all’interno della comunità culturale, i due non hanno problemi a raccontarsi, tanto da finire sulle pagine del “New York Times” nel 2016.

Le minoranze afroamericane accusano Mollena Williams di aver rinunciato all’indipendenza per la quale hanno lottato Malcom X e Martin Luther King. “Die Welt” e la critica musicale stroncano le opere di Haas perché inorridiscono alle metafore musicali riferite alla sua vita privata; qualcuno accusa la coppia di aver escogitato una trovata da PR. Amici e genitori, sconosciuti e ammiratori, Georg e Mollena hanno un esercito di odio a cui rispondere, e lo combattono con l’amore. 

Il compositore ricorda più volte che, prima di trovare una relazione stabile, ha passato quarant’anni imprigionato in una gabbia di autocostrizione, incapace di sfogare il proprio istinto sessuale. È questo il segreto che fa funzionare la coppia Haas-Williams: riescono a trasformare la brama distruttiva, attiva e passiva, in amore. Sembra ironico, eppure hanno trovato la libertà nelle fruste e nelle manette, nei vestiti in pelle e nelle catene. Come vediamo nel film, dopo qualche minuto di sculacciate, il compositore si raccoglie e si dedica all’aftercare (la cura affettuosa del partner seguente la sottomissione) ripetendo “Thank you, I love you” tra abbracci e baci.

Bisogna dirlo, Beatrice Behn e René Gebhardt hanno avuto vita facile. Due settimane dopo aver contattato Mollena e Georg, i registi erano già nell’appartamento di Manhattan a filmarli mentre dormivano. Non è necessario raccontare una storia, basta seguire la coppia per carpire le loro dinamiche non convenzionali. I racconti di vita della scrittrice si snodano come una performance di stand-up comedy, i borbottii del musicista riempiono la faccia della medaglia più introspettiva.

Sia Georg che Mollena sono artisti e pervertiti, ed il titolo sottolinea provocatoriamente una doppia identità che appartiene a entrambi. La pellicola di 96 minuti lascia confusi, scardinati dai pregiudizi sulla pratica sadomasochista, ed abbagliati dal numero di convenzioni sociali contro le quali si immolano i protagonisti. Dov’è la coerenza di un sadico femminista? E la dignità di una attivista afroamericana in catene? La risposta sta in un punto di vista unico ed indipendente, nella forza di saper rompere gli schemi con una sfacciataggine ed onestà coinvolgenti, nel far sentire meno solo chi sta ancora nell’ombra del pregiudizio. 

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