Nel gennaio 2009 un aereo di linea decollato dall’aeroporto La Guardia di New York si scontrò con uno stormo di uccelli e fu costretto a un ammaraggio di emergenza nelle gelide acque del fiume Hudson. Miracolosamente, passeggeri e equipaggio restarono tutti illesi. Sette anni dopo, Clint Eastwood ha diretto un bel film dal titolo Sully, dedicato al comandante Chesley “Sully” Sullenberger, pilota di quell’aereo. A presentare il film al trentaquattresimo Torino Film Festival è proprio il comandante Sully che, grazie alla sua esperienza e al suo team, quel giorno ha sventato una tragedia.
Sullenberger è pacato e sorridente, ma quando risponde alle domande su come sia nato il film e su cosa abbia significato per la sua vita, prestando attenzione si può ancora scorgere una velata emozione e incredulità. Dopo l’accaduto Sully ha scritto un libro; l’amico Harrison Ford, pilota e appassionato di aviazione lui stesso, l’ha letto e l’ha condiviso con il produttore Frank Marshall che ha sua volta ha contattato Allan Stuart che ha acquistato i diritti. La sceneggiatura è finita nelle mani di Clint Eastwood e il risultato lo stiamo vedendo in questi giorni sugli schermi del Festival.
Sullenberger ha risposto a domande che spaziavano dal rapporto con Clint Eastwood (“È stato molto carino e riflessivo, abbiamo passato tre ore a parlare e abbiamo mangiato insieme”), regista qualificato a dirigere un progetto di questo tipo in quanto ha vissuto lui stesso un ammaraggio di emergenza, alla questione della sicurezza aerea. La sicurezza aerea è un campo in cui Sullenberger ha lavorato una vita intera e il fatto di aver vissuto questa esperienza ha fortificato ancora di più la sua volontà di mettere le proprie conoscenze a servizio di un lavoro che è una vera e propria vocazione: “la sicurezza è un obbligo professionale primario.”
Tutto ciò che si è visto nel film è praticamente una copia fedele di quello che è realmente accaduto, in particolare le sensazioni provate da Sully e dal copilota Jeff Skiles, portati egregiamente sullo schermo rispettivamente da Tom Hanks e Aaron Eckhart. In riferimento al fatto di vedere se stesso al cinema con le fattezze di un attore, Sullenberger ha dichiarato che è stato surreale, quasi “un’esperienza extracorporea.”
Come si deduce anche dal film, la prima e l’ultima preoccupazione del comandante sono sempre stati i passeggeri ed è facile individuare la profonda umanità e responsabilità di Sullenberger, che in poche semplici e oneste parole illustra la sua filosofia di vita. Alla domanda se la sua storia piacerebbe di più a Donald Trump o Hillary Clinton, Sullenberger risponde: “I valori su cui ho basato la mia vita e la mia professione non sono repubblicani o democratici e nemmeno esclusivamente americani: sono valori umani”