Prima dell’ottimo Dunkirk di Christopher Nolan, l’operazione Dynamo e la ritirata da Dunkerque erano state protagoniste di un toccante piano sequenza in Espiazione di Joe Wright. Dopo dieci anni, Wright stesso torna a cimentarsi con questa celebre e importante pagina della storia britannica, ma lo fa dietro le quinte raccontando la storia di come ci si arrivò e soprattutto del fautore di quel disperato salvataggio che si rivelò essere un’importantissima vittoria morale: Winston Churchill.
Darkest Hour copre proprio l’arco temporale che va dalle dimissioni del Primo Ministro Neville Chamberlain, con conseguente nomina di Churchill, all’inizio dell’operazione Dynamo che tentava di riportare in patria gli oltre 300.000 soldati britannici rimasti bloccati tra il mare e il fuoco tedesco. Churchill si batté strenuamente affinché la Gran Bretagna non accettasse un compromesso e un trattato di pace con la Germania di Hitler e Darkest Hour racconta con ritmo serrato e ambienti claustrofobici, le difficoltà che il Primo Ministro incontrò nel far valere la propria posizione.
Churchill resta, ad oggi, il Primo Ministro britannico più amato e, nonostante alcuni errori commessi durante l’ampio arco della sua carriera politica, non può che essere ricordato come colui che ha salvato l’Europa dalla minaccia nazifascista grazie alla propria caparbietà e al proprio orgoglio.
L’apparente lentezza della trama si contrappone alla vivacità e al temperamento del personaggio di Churchill, “un attore innamorato della propria voce”; la sceneggiatura tagliente e venata dall’inconfondibile british humor è al servizio totale della sua istrionica figura.
La figura pubblica e privata di Churchill è senza dubbio ciò attorno a cui Wright costruisce il film e l’interpretazione di Gary Oldman restituisce un ritratto veritiero tanto dell’uomo di Stato burbero e determinato, quanto dell’uomo anziano “che piagnucola un po’ troppo” quando si emoziona. La prima volta che lo spettatore vede Churchill lo fa attraverso gli occhi della giovane e spaventata segretaria Miss Layton, al suo primo giorno di lavoro. Immerso nella penombra della camera da letto, avvolto in una vestaglia rosa, con in bocca l’immancabile sigaro e in mano l’altrettanto immancabile bicchiere di Scotch, Churchill mette in soggezione ma suscita anche immediata simpatia con le sue battute schiette e argute che strappano il sorriso più di una volta.
Nella fortunata serie tv targata Netflix The Crown, il compito di portare sullo schermo Winston Churchill è toccato a John Lithgow che l’ha portato a termine egregiamente. Altrettanto ottima è qui l’interpretazione di Gary Oldman, protagonista assoluto di Darkest Hour, affiancato da Kristin Scott Thomas nei panni della moglie Clementine. Oldman è quasi irriconoscibile in questa sua trasformazione fisica, se non fosse per gli inconfondibili ed espressivi occhi azzurri che emergono dal volto invecchiato dal trucco e bucano lo schermo, soprattutto in quelle scene in cui, con sguardo in macchina, Churchill si rivolge al suo popolo “nell’ora più buia”.
Joe Wright, quindi, fa centro un’altra volta e dimostra ancora di essere un ottimo regista quando si tratta di portare in scena eventi profondamente radicati nella storia e nell’immaginario britannico. Darkest Hour si conferma, come da previsioni, un film in grado di coinvolgere e appassionare il pubblico e con buona probabilità rappresenterà anche una concreta occasione di ottenere la nomination ai premi Oscar per Oldman. Gli elementi per piacere all’Academy ci sono tutti: biopic, trasformazione fisica, carisma e Storia con la S maiuscola.