Il botanico Julio Betancur e il suo assistente Cristian Castro camminano per la giungla colombiana raccogliendo e catalogando le numerose specie vegetali.
Un lavoro infinito e meticoloso quello dei due studiosi sudamericani che il giovane regista Guillermo Quintero documenta con calma e precisione: il soggetto del lungometraggio, d’altra parte, lo richiede. Il film parte dal presente per osservare il passato. La lunga fila di ricercatori che nel tempo hanno aiutato a crescere il Catalogo Botanico Colombiano vengono decantati come i nomi di antichi guerrieri che hanno combattuto una battaglia silenziosa, lontana dalla società e immersa nella natura.
È proprio questa dimensione che lentamente trasforma la figura dei due uomini di scienza in due eroi romantici, che rivolgono lo sguardo verso l’infinità delle specie ancora sconosciute nascoste da un mare di nebbia. La citazione del famoso quadro di Caspar David Friedrich è voluta nonché richiamata dalle prime vedute della foresta andina.
La cinepresa si divide tra inquadrature fisse e lunghe carrellate che seguono il professore Betancur e il suo studente nell’irregolarità del paesaggio colombiano e le immense ed ordinate scaffalature del loro centro di ricerca, tra le specie che ormai sono estinte ma di cui si sa tutto e quelle che sono ancora esistenti ma di cui non si sa nulla. Il regista fa capolino con un commento in cui parla del suo rapporto personale con il professore, della sua nostalgia per la foresta e del suo amore per la natura.
Si tratta di un documentario sulla natura e sulle persone che la vivono quotidianamente con impegno e dedizione, un viaggio attraverso la foresta e suoi misteri e attraverso la mente di un uomo e i suoi sogni.