Un musica turbante che schiaccia l’ascoltatore e al contempo lo trasporta in un altrove lontano e remoto, un uomo che dichiarava di essere guidato nella composizione dai Daeva e che ha trascorso svariati anni della sua vita in un ospedale psichiatrico, criticato dalla scena musicale coeva. Giacinto Scelsi sembrerebbe un personaggio uscito dalle pagine di un racconto di H.P. Lovecraft, ma il documentario di Sebastiano d’Ayala Valva, discendente del compositore, riesce a superare questa damnatio memoriae mostrandoci un uomo conscio dei propri mezzi, un precursore dei tempi che, come spesso accade ai grandi visionari, non viene compreso e per questo rifiutato.
Il regista raccoglie le musiche, le memorie registrate su nastri magnetici, le testimonianze degli interpreti scelsiani e li lega alla sua esperienza personale, alle tenere immagini in compagnia del padre anziano, restituendoci un documentario intimo e personale, che apre riflessioni sull’uomo e l’universale. Sono rimasto particolarmente colpito dalla riverenza e il rispetto con cui è descritto il compositore da coloro che sono entrati in contatto con lui, è evidente come la vita di queste persone sia stata toccata da questa esperienza. Per usare una delle metafore del film, è come se Giacinto Scelsi fosse una singola e vibrante nota lontana nel tempo e questa sua vibrazione si sia allargata sempre di più, arrivando ad abbracciare le persone vicine a lui, mettendo anch’esse in risonanza, in uno scambio che sembra destinato a non fermasi ma ad ampliarsi sempre di più, diffondendo la visione di Scelsi. Lo vediamo insieme all’anziana Michiko Hirayama, che insegna ad Elena Schirru come interpretare il canto scelsiano, e lo percepiamo come uno degli intenti del documentario, che altro non è se non un’eco della vibrazione avviata dal compositore.
Particolarmente cara mi è poi la riflessione finale sulla vita e la morte. Il regista afferma di non credere nella vita dopo la morte, e così suo padre, ma leggere le sue poesie gli dona comunque un senso di sollievo e fiducia. Se anche dopo la vita non ci fosse nulla ad attenderci, non è forse vero che noi continueremmo a vivere nei ricordi delle persone che ci hanno conosciuto, come accade per Scelsi nel documentario? E anche quando queste non ci saranno più continueremo a vivere in quello che abbiamo trasmesso, nel nostro lavoro. In questo senso il documentario si pone un altro grande obiettivo: eternizzare la memoria dei suoi protagonisti attraverso la trasmissione delle loro storie. Come dichiara il regista al padre in una sequenza del film mentre lo riprende: “Questa è per sempre”.
Il primo moto dell’immobile è una gemma rara, un documentario profondo che apre diverse riflessioni. Con il suo carico di mistero e sincerità riesce a farci riflettere, a farci vibrare, rendendo anche noi partecipi della grande partitura di Giacinto Scelsi.