“TYREL” DI SEBASTIÁN SILVA

La solitudine può emergere in una stanza vuota o in una piazza gremita di persone. È il riflesso di un’inadeguatezza interiore, un limite fisico difficilmente valicabile.

Sebastián Silva è un giovane regista cileno attualmente impegnato negli Stati Uniti. Già presente al Torino Film Festival, dove aveva presentato La nana (Affetti e dispetti 2009), Silva ritorna nella sezione After Hours con il film Tyrel (2018), proposto in anteprima mondiale al Sundance Film Festival e definito negli States “il nuovo Get Out” (Scappa-Get Out, 2017, Jordan Peele). Tyler (Jason Mitchell) è un ragazzo afroamericano che trascorre un week-end di baldoria insieme a un gruppo di “white guys”  ma che non riesce ad integrarsi per via della sua condizione di unico ragazzo di colore.

Ognuno di noi ha provato la sensazione di esclusione e di disagio dovuto alla presenza di persone che percepiamo molto lontane da noi, persone che non condividono le nostre idee, con cui non riusciamo ad entrare in sintonia. Tyler si vede come un estraneo, un intruso, l’ultimo arrivato. Questo lo porta a sentirsi minacciato e vulnerabile. Preferisce l’isolamento, come isolato è lo chalet, sperduto fra le Catskills, in cui è ambientata la vicenda.

Il disagio di Tyler è in primis dovuto alla sua stessa percezione di  diversità rispetto agli altri e in secondo luogo all’incapacità di sentirsi accettato. L’imbarazzo aumenta quando gli viene chiesto di imitare l’accento afroamericano di una vecchia signora, anche se lui riluttante accetta, suscitando il sorriso dei presenti. Solo con l’arrivo di Alan (Michael Cera) Tyler sembra finalmente sentirsi uno del gruppo. Alcol, droghe leggere e la complicità con Alan fanno di Tyler l’anima della festa, ma la situazione presto precipita.

Quello di Tyler è un atteggiamento prevenuto verso i suoi compagni che da subito hanno cercato di farlo sentire partecipe. È tuttavia un atteggiamento comprensibile in un Paese come gli Stati Uniti, da sempre melting-pot di culture differenti ma dove esiste ancora chi crede nella “supremazia dell’uomo bianco”, ideologia – a detta del personaggio di Alan- condivisa dal presidente americano Trump. Non a caso Trump viene visivamente ripreso nel film sotto forma di un fantoccio da colpire nel gioco della pignatta. Dal film traspaiono preoccupazione e disappunto verso il pensiero espresso dal neo-presidente, di rottura e discontinuità rispetto al governo del suo predecessore Obama. In un clima di profondo odio verso chi appare diverso, il film di Silva si staglia come un faro nella notte ricordandoci che noi per primi non dobbiamo sentirci diversi e che chi è di fronte a noi non per forza rappresenta una minaccia.

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