Dopo aver conosciuto i componenti di una banda da giro, ossia una banda musicale itinerante che suona alle feste religiose con processione, in occasione della realizzazione di un breve documentario intitolato Come sopravvivere alla banda, il regista Vittorio Antonacci ha sentito il bisogno di espandere l’indagine attorno alle professionalità itineranti che si sviluppano attorno alle feste patronali e più in generale religiose.
In quest’ottica si colloca la realizzazione di questo documentario in gara nella sezione TFFDoc/Italiana: suddiviso in tre episodi, tratta tre tipi di itineranti differenti, affrontati di conseguenza con diversi linguaggi da parte del regista.
Il primo episodio è proprio Come sopravvivere alla banda e ruota attorno alla banda da giro: la familiarità dei componenti, ha riferito Antonacci al Q&A presso il Cinema Classico, ha permesso alla troupe di unirsi al viaggio di questi musicisti, che con poco denaro giravano il Sud su un pullman e dormivano in scuole rese disponibili dai Comuni in cui suonavano portando con loro brandine, utensili da cucina e generi di prima necessità. Tutto ciò è declinato al passato, perché nel tempo intercorso dalle riprese ad oggi la banda si è sciolta e non suona più. In questo primo episodio i membri della banda sono stati ripresi con camera a mano e osservati mentre interagivano tra loro e con la telecamera stessa.
Il secondo episodio si intitola Peregrinatio Mariae e ha per protagonista un’itinerante molto particolare, la statua della Madonna, che in molti paesi del Sud si usa portare in visita nelle case per un giorno. Questo episodio è molto diverso dal precedente, in cui i componenti della banda si rivolgevano direttamente alla telecamera: in Peregrinatio Mariae sono protagonisti i silenzi devoti, la trepidante preparazione di chi accoglie la statua in casa e i canti delle processioni. Anche la forma è differente: Antonacci non muove molto la telecamera, preferendo riprendere in quadri statici ciò che accade in occasione della festività. Una notevole eccezione è costituita da una ripresa dall’alto che segue la processione, presumibilmente realizzata tramite l’uso di un drone: vediamo la processione affiancata su una strada piuttosto stretta da una bisarca che trasporta automobili, con un accostamento quasi ossimorico che segna il cambiamento dei tempi.
Questo tema è centrale nell’ultimo episodio, intitolato L’ultimo dei madonnari: la figura del madonnaro è molto diffusa anche fuori dall’Italia, ma oggi gli artisti di strada itineranti che disegnano per terra personaggi sacri in occasione delle feste religiose sono sempre meno numerosi. In questo episodio seguiamo Raffaele, un madonnaro che con tenacia difende la sua professione da chi non le dà più importanza. Non c’è quasi un’inquadratura in cui Raffaele non sia presente mentre usa i suoi gessetti e pennelli, cerca transenne per proteggere il suo disegno di San Rocco e protesta perché l’arrivo della fibra ottica in paese ha provocato lo spostamento di un tombino, limitando il suo spazio d’azione.
Antonacci ha detto di aver scelto di mettere assieme queste tre storie perché costituiscono secondo lui una tesi, un’antitesi e una sintesi riguardo al tema delle feste religiose: il primo episodio mostra come queste siano eventi prettamente sociali, figli della comunità e portatori di aggregamento; il secondo approfondisce invece l’aspetto più propriamente devozionale della festa, concentrandosi sull’itinerario della statua; il terzo, grazie a Raffaele, arriva a concludere, come dice il madonnaro, che “Il Santo è la socializzazione”.
Siamo ormai lontani dai tempi in cui operava il regista Luigi Di Gianni e le feste religiose erano molto più centrali nella vita delle comunità; il lavoro compiuto da Antonacci e la sua crew è stato, come il regista ha detto, “un atto di fede dello sguardo” per testimoniare come tutti i meccanismi che ruotano attorno alle festività stiano cambiando, ma anche come rimarranno sempre importanti per le comunità e non scompariranno mai.