Una sorpresa e una rivelazione: non solo la scoperta del fatto che Dio sia donna, ma soprattutto l’inclusione di Teona Strugar Mitevska nel pàntheon degli autori europei. È l’utilizzo della potenza della “macchina cinema” quello che più stupisce nella filmografia della regista macedone, dal momento che recupera e reinterpreta la lezione del cinema civile, sempre impegnato ad affrontare tematiche attuali per smuovere le coscienze senza avere un tono moraleggiante o predicatorio: “il cinema non può essere una forma di autoerotismo, ma deve essere uno specchio della società in cui viviamo e un modo per reagirvi”.
L’occasione per la scoperta della filmografia di Teona Strugar Mitevska è stato il successo alla scorsa Berlinale del suo ultimo lavoro, God Exists, Her Name Is Petrunya. Il principio è un rituale, una tradizione: il Pope tutti gli anni lancia nel fiume un crocifisso benedetto e i fedeli, fino a quel momento solo uomini, si tuffano per prenderlo come augurio e portafortuna per l’anno successivo. Petrunya, una donna di trentadue anni, laureata in storia ma disoccupata, single – e sovrappeso secondo la madre – è la prima a prendere il crocifisso, che non le porterà fortuna ma sarà la causa dell’inizio di una lunga incomprensione e di un oltraggio alla Sua femminilità. Tratto da una storia vera.
Teona è assolutamente consapevole della portata provocatoria della sua operazione e la sua riflessione, oltre al femminismo, ha altri due poli di tensione: il rapporto tra lo Stato e il potere religioso, e l’utilizzo dei media. Ovviamente l’obiettivo polemico è la società patriarcale, ma gli uomini che circondano Petrunya – interessata alla storia della Cina comunista che mira all’uguaglianza, piuttosto che a quella del macedone Alessandro Magno – sono per lo più simbolo di una mascolinità frustata o fragile. Se il gruppo di “fedelissimi” al Pope sembra più che altro una congregazione fanatica o un gruppo neofascista, il Pope stesso, oltre a mentire, è più attento alle aspettative che la società ha nei suoi confronti, piuttosto che alla legge di Dio; ma anche la polizia, compromessa con il potere religioso, non si fa totalmente garante della legge. Il compromesso tra lo Stato e il potere religioso, entrambe istituzioni patriarcali, d’altra parte, dovrebbe far riflettere: in un periodo in cui la politica (anche e soprattutto italiana) strumentalizza tanto i media quanto la simbologia religiosa, la polemica della regista macedone diventa universale e investe, colpevolizzando, tutti gli strati della società.
Da questo punto di vista God Exists, Her Name Is Petrunya è stato il pretesto per esplorare la filografia di Teona Strugar Mitevska, che, prima ancora che cineasta, è Donna e Cittadina del Mondo: per questo il suo cinema si carica sempre di venature civili e politiche e la sua riflessione si astrae dal contesto macedone per assumere un messaggio e una portata universali. Da un lato tutti i suoi film, anche a distanza di anni, si rivelano assolutamente attuali: il terrorismo di How I Killed a Saint (2004) sembra una risposta muta alla militarizzazione da parte della Nato e un gesto sordo per costruire una nazione libera; la fabbrica e l’inquinamento di I Am From Tito Veles (2007) lasciano trasparire una città mortuaria cui il futuro e ogni forma di vita sembrano preclusi; la mostruosità – non tanto quella fisica di Cvetan –, la mancanza e l’incapacità di comunicazione del gruppo di ragazzi in When the Day Had No Name (2017) si rivelano essenzialmente come impossibilità di integrazione e uguaglianza.
Dall’altro lato la femminilità e la capacità di costruire e raccontare con estrema delicatezza personaggi femminili (spesso interpretati da Labina Mitevska); tutte le donne di Teona Strugar Mitevska sembrano dover affrontare sempre un problema più grande di loro, la sopravvivenza, soprattutto in una società patriarcale che non può comprenderle, né sembra volerlo (il mutismo di Afrodita in I Am From Tito Veles è esemplare dell’impossibilità di comunicazione tra due universi differenti e distanti). Se in When the Day Had No Name la presenza femminile è relegata ai margini, anche questo film è profondamente femminista, soprattutto in quanto racconta dell’incapacità dei giovani di costruirsi un’identità differente da quella del “macho”, ovvero di costruire una società diversa da quella patriarcale. In generale tutti i personaggi sembrano imprigionati in una realtà temporale presente, senza possibilità di un futuro; per ciò risulta emblematica l’immagine dell'”angelo della morte” su cui campeggia la scritta sul muro “no future” in When the Day Had No Name. E la libertà va intesa essenzialmente come una possibilità, implicita o esplicita nei differenti film, di costruire una società diversa, migliore, aperta verso il futuro.
Da questo punto di vista un altro fil rouge che sembra collegare tutte le opere della regista macedone è la memoria e la necessità di fare i conti con il passato, con la Storia o con la tradizione, riuscendo ad aprire prospettive e possibilità nuove. Per questo l’opera di Teona Strugar Mitevska è anche una reazione e una risposta all’industria del cinema e dell’arte più in generale, un’industria in cui, spesso, non si dà la dovuta importanza alla presenza femminile.
Elio Sacchi