La città di Mostar, i suoi tuffatori ed un ponte fanno da vero e proprio spartiacque generazionale di una comunità che cerca di andare avanti e dimenticare la guerra. In concorso nella sezione Italiana.doc, Daniele Babbo compie con I Tuffatori il suo esordio alla regia muovendosi silenzioso nel cuore della Bosnia accompagnato dalle voci e dai ricordi di Igor, Denis, Miro, Edy e Goran. Volti e corpi che con i loro salti nel vuoto ammaliano i turisti, mascherando allo stesso tempo le paure di un futuro incerto.
La narrazione del regista, costruita a partire da un’attenta messa in scena, si muove attraverso i leitmotiv visivi e metaforici dei tuffi e del ponte. Babbo rende chiare le sue intenzioni fin dal principio: le prime inquadrature sono le uniche veramente panoramiche di tutto il film, perché poi la meraviglia di Mostar (patrimonio UNESCO dal 2005) fungerà da contenitore per le storie e le vite degli uomini che si presteranno a esporle. Da un lato viene prediletta la modalità osservativa, che mostra il racconto per come si svolge di fronte alla cinepresa senza ricorrere a voci narranti; dall’altro vi è la componente partecipativa, frutto di una vicenda vissuta in prima persona dall’autore che prende per mano lo spettatore, guidandolo in un viaggio di cinque anni perfettamente raccordato da un fotogramma all’altro.
Non sono infatti tanto le voci dei tuffatori a raccontare una storia, quanto i dettagli su cui indugia lo sguardo del regista: le ferite sui corpi dei performer diventano presto il corrispettivo delle cicatrici della città, martoriata dalla tragedia della Guerra dei Balcani che poco più di vent’anni prima spezzava il futuro di un’intera generazione. La stessa che ora, nel 2020, in un Paese a due passi dall’Italia, si trova a cercare lavoro all’estero e vivere lontano dalla famiglia.
Sul solco del ponte olandese raccontato agli albori da Joris Ivens (De Brug, 1928), quasi cent’anni dopo Babbo utilizza un’altra struttura per raccontare un cambiamento in atto. Stavolta non c’è una costruzione, ma una distruzione: il ponte vecchio, simbolo della Jugoslavia, è sostituito dal ponte nuovo, simbolo di una politica pronta solo a sfruttare il suo popolo. Lo sguardo è malinconico, ma non negativo. Perché anche il nuovo ponte, con il tempo, diverrà a sua volta vecchio e capace di diventare simbolo di un ritrovato senso di appartenenza della gente di Mostar.