Prima di Simone Biles, numerosi sono stati i casi di campioni sportivi distrutti dalla pressione derivante dal loro ruolo. Uno dei più recenti è quello della tennista Naomi Osaka.
Classe ’97, 4 grand slams vinti a soli 23 anni, Osaka si è imposta come una delle figure sportive più importanti del ventunesimo secolo. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica, come racconta in maniera molto efficace la documentarista Garrett Bradley (già regista dello struggente Time) in questa miniserie in tre parti, ciascuna delle quali dedicata a un aspetto della personalità e della carriera di Osaka: la prima, intitolata simbolicamente (e ironicamente) “Ascesa”, racconta l’inizio della parabola discendente della tennista, dalla epica vittoria agli U.S. Open del 2018, alla sconfitta agli ottavi di finale nell’edizione successiva del torneo, passando attraverso l’apparato mediatico e le aspettative esterne che si riversano su Naomi, che molto spesso si definisce come un “contenitore” di tali aspettative; la seconda, “Mentalità da campionessa”, segue Osaka nei giorni successivi alla sconfitta del 2019 e mostra i suoi tentativi di ricominciare da capo e reinventarsi, come sportiva ma soprattutto come persona (con una linea di moda da lei curata presentata alla Settimana della Moda di New York), anche se la sequenza di insuccessi professionali non accenna a fermarsi e la sua “mentalità da campionessa”, come lei la definisce, cioè l’accettare serenamente tutto ciò che accade sul campo, non accenna a palesarsi; e infine la terza, “Una nuova consapevolezza”, mostra l’impegno di Osaka nella protesta a seguito delle morti di George Floyd e Jacob Blake, e il suo imporsi come unic* tennista a prendere parte alle manifestazioni di solidarietà portate avanti dalla NFL e dalla NBA. Proprio a seguito della partecipazione a tali proteste, Osaka trova nuovo carburante motivazionale che la porta finalmente a tornare a vincere lo U.S. Open dopo due anni dal suo storico trionfo.
Abbandonando la retorica e i colori sgargianti di tante produzioni dedicate al mondo dello sport, Bradley realizza un documentario dai colori opachi, angosciante, anche se non privo di momenti lirici. E al centro di tutto questo, Osaka, spesso inquadrata di sbieco, quasi a rimarcare le “imperfezioni” del personaggio. E di “imperfezioni”, o meglio, apparenti contraddizioni, Osaka ne ha tante: conscia di avere dei limiti, è comunque sempre disposta a tutto per vincere; una giocatrice che si definisce “d’assalto” sul campo, che però fatica a imporsi come una leader nella vita di tutti i giorni; una figlia di immigrati che non parla una parola di giapponese ma ha sempre rappresentato il Giappone in tutte le competizioni a cui ha partecipato. Eppure la lucidità nel ragionamento e l’onestà intellettuale di Naomi fanno sì che tali contraddizioni svaniscano, e che diventino parte della sua personalità, prima, e della sua immagine sportiva, poi.
E proprio di immagini, naturalmente di repertorio, ma tratte soprattutto dai filmini amatoriali della famiglia Osaka, si nutre il documentario di Bradley (come già succedeva in “Time”): congelata per sempre vi troviamo una bambina non particolarmente brava sul campo palleggiare con la sorellina più piccola, o cullata dai genitori, o trasportata in passeggino. Quella vita non può più averla, Osaka, ma tutto sommato non le importa: bisogna guardare avanti, e lei è la prima a saperlo.
Alessandro Pomati
(La miniserie è disponibile su: Netflix)