Presentato fuori concorso al TFF39, Quattordici giorni è il quarto lungometraggio di Ivan Cotroneo, affermato autore televisivo e sceneggiatore italiano che firma l’adattamento di un suo omonimo romanzo del 2020, scritto a quattro mani con Monica Rametta, co-sceneggiatrice anche di questa trasposizione.
Marta e Lorenzo sono sposati da dodici anni e costretti a rispettare in casa una quarantena di quattordici giorni perché la prima è entrata in contatto con una persona positiva al coronavirus. Tutto tendenzialmente nella norma, se non che il marito ha rivelato alla moglie di avere una relazione extraconiugale e di voler andare via di casa il prima possibile.
Il plot è particolarmente originale nell’intercettare le incertezze della contemporaneità e usarle per raccontare, di contro, la storia di una crisi matrimoniale. La pandemia, l’ingombrante elefante nella stanza, non diventa mai protagonista e non sfugge mai al controllo dei due autori, rimanendo relegata al ruolo funzionale a lei destinato. Cotroneo guarda a un certo cinema “di coppia” tornato in auge a livello internazionale (pensiamo per esempio a Storia di un matrimonio e a Malcolm&Marie) trovando stilisticamente la propria strada. Il film è costruito intorno a stacchi veloci che imprimono un ritmo costante e frenetico alla vicenda, alternando controcampi serratissimi a campi lunghi che riescono ad abbracciare completamente gli interni della casa, microcosmo limitato ma al contempo ricco quanto basta per lasciare liberi i due protagonisti. Inoltre, il regista napoletano adotta una struttura episodica: ogni giorno è quasi a sé stante e sembra cancellare il precedente, ma solo perché l’occhio della cinepresa ci mostra soltanto l’apice di tensione di ogni giornata che i due coniugi sono costretti a passare insieme. Una “terapia di coppia” lunga un’ora e mezza.
Il film è apprezzabile anche per le buone prove di Carlotta Natoli e Thomas Trabacchi. I due attori costruiscono una dinamica di coppia credibile, reggendo da soli il peso del film e contribuendo con gesti, espressioni e parole a delineare la storia del personaggio “scomodo” di Alessia, l’amante, che in scena non vediamo mai ma che aleggia come uno spettro in ogni angolo della casa. I dialoghi taglienti e colmi di riferimenti – dalla pop culture alla videoteca cinefila, da Martin Luther King a Via col vento – non impediscono al film di inciampare in alcuni cliché di genere ed escamotage un po’ approssimativi. La sensazione è che Cotroneo guardi alla scuola anglosassone, riuscendo a rimediarne i difetti con una visione molto più dinamica e non forzatamente teatrale, perdendo però il filo del discorso nel momento in cui diventa necessario tirare le somme.
Marco Ghironi