L’artista multidisciplinare Amalia Ulman debutta in concorso al TTF 39 con il suo primo lungometraggio El planeta, già presentato al Sundance Festival del 2021. Il micro-budget e una piccola troupe composta da cinque persone rendono questo esordio un esperimento che rievoca il cinema indipendente statunitense degli anni ’90.
Il film, ispirato a una storia vera di una madre e una figlia truffatrici, chiamate Las Falsas Ricas, trova la sua potenza nello stretto rapporto madre-figlia tra Maria Rendueles (Ale Ulman, madre effettiva della regista) e Leonor Jimenez (Amalia Ulman); le due donne, sull’orlo dello sfratto, vivono al di sopra delle loro possibilità in una piccola città portuale delle Asturie, Gijón – città in cui Ulman stessa ha vissuto nella sua adolescenza.
Leo è una giovane fashion designer disoccupata, ha studiato a Londra e si ritrova nella sua città natale dopo la morte del padre; Maria è una casalinga che non ha mai lavorato e che passa il tempo a scrivere e fissare indelebilmente i nomi dei nemici su dei bigliettini. Tutto il film si avvita su queste due bizzarre figure, sulle interazioni tra loro e con altri personaggi che orbitano intorno a questo pianeta familiare ridotto all’osso. Le relazioni e gli incontri sono asciutti, spogliati di calore umano e finiscono per diventare quasi delle transazioni, degli affari: scena emblematica tra tutte è l’incontro in un caffè tra Leo e un uomo di mezza età (il regista Nacho Vigalondo, durante il quale la ragazza si ritrova a pensare «se vale la pena fare un pompino per un libro» e a negoziare la propria sessualità come una merce di scambio.
La permeabilità tra i due piani, quello della finzione cinematografica e quello autobiografico, è inevitabile e preziosa: il grado di autentica intimità tra le due donne mantiene alto un senso di credibilità che permea tutto il film. Anche nel rapporto con la città si percepisce un livello di familiarità che consente alla regista di avere una lucida e disincantata immagine della cittadina spagnola in crisi. Complice forse il bianco e nero di Carlos Rigo Bellver, a Gijon i palazzi si somigliano tutti nella loro anonimia, i negozi sono chiusi e quasi ovunque aleggia un senso di desolazione trasposto letteralmente nei ridondanti annunci di vendita. Tutto è uniforme – i condomini, le boutique, i magazzini di cianfrusaglie e i cieli. In una tale piatta omogeneità le due donne catalizzano l’attenzione e urlano la propria personale complessità attraverso pellicce e completi zebrati: Maria e Leo, in una situazione di crisi economica globale, rivendicano il diritto di desiderare e di non soccombere. Una fotografia patinata che, tramite il bianco e nero, smorza il glamour più sfolgorante, contribuendo a dare un tono sferzante e ispido a una narrazione che non si abbandona mai al melodramma ma rimane argutamente su un limen tra disincanto e leggerezza.
Annaisa Quarto