“UNDEAD VOICES” DI MARIA IORIO E RAPHAËL CUOMO; “È SOLO A NOI CHE STA LA DECISIONE” DI ISABELLA BRUNO

Un film amatoriale in Super 8mm del 1975, abbandonato nella cantina della regista per anni, deteriorato gravemente dall’umidità del lago vicino al quale vive: questo è il punto di partenza di Undead Voices, il documentario di Maria Iorio e di Raphaël Cuomo che si propone di riportare in vita il film femminista Donne emergete! di Isabella Bruno. La storia di Donne emergete! è quella di molti film del cinema femminista militante: «Non c’è stato sufficiente interesse verso la loro conservazione, sono state considerate opere non degne» commenta la curatrice e storica Annamaria Licciardello, sottolineando come questa problematica si aggiunga al già esiguo numero di femministe che si sono cimentate nella regia in questo periodo storico. «Si trattava di ragazze giovani che non avevano i mezzi per fare cinema, a loro volta mantenute a distanza, come ancora avviene, da tutto ciò che è tecnico-scientifico o tecnologico, e quindi di dominio maschile». È stato prodotto così poco e di quel poco si conserva una minima parte: «C’è un vero e proprio buco nella storia» aggiunge Licciardello.

Undead Voices giunge a noi come un urlo sbiadito dal passato. Dalla pellicola deteriorata emergono voci e corpi fermi nel tempo, conservati in una lotta eterna. I canti femministi degli anni Settanta scandiscono il susseguirsi dei fotogrammi rovinati, dai quali emergono, come spiriti, le femministe del passato. La sfocatura, già predisposta in partenza dalla regista, suggerisce il risorgere delle donne dall’invisibilità che le ha intrappolate per secoli. Le loro voci si sentono appena, provengono dall’aldilà, ma risuonano con immutata determinazione. Sono, come afferma il titolo, voci non morte.

Come Donne emergete! in Undead Voices, anche È solo a noi che sta la decisione è un film amatoriale e femminista di Isabella Bruno. Lo stile del pamphlet, molto in voga nel cinema militante di questo periodo, combina in un’unica, fluida narrazione, i titoli di giornale, le immagini e le interviste che descrivono il dibattito sull’aborto, dall’ipocrisia della Chiesa all’opportunismo della politica. Il dibattito si è appena acceso, gli uomini hanno da poco iniziato a curarsene, eppure le donne combattono da anni. Sono stanche degli aborti clandestini, sono stanche di essere trattate come macchine partorienti, veri e propri “corridoi” percorsi senza posa da mariti, dottori e bambini, come dirà una donna intervistata da Luigi Comencini in L’amore in Italia due anni dopo.

La proiezione di queste due opere, che dal loro susseguirsi guadagnano una eco ancora maggiore, si colloca, a più di quarant’anni dalla loro creazione, in un panorama solo apparentemente diverso . Ci ricorda che le donne devono rimanere vigili poiché le pagine della storia scorrono veloci e loro sono le prime a subirne i fugaci mutamenti. Quelle ombre colorate sembrano tenersi aggrappate con le unghie a un diritto ormai concesso ma ancora non sufficientemente accessibile. Quelle voci non morte sembrano intonare i loro canti con più convinzione, per scongiurare che il diritto da poco concesso venga di nuovo negato.

«Ma verrà un giorno che tutte le morte si uniranno alle vive per vendicarsi al mondo intero che le ha volute tutte buone in un lago di sangue, amorose, sorridenti e felici».

Alice Ferro

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