“EL GRAN MOVIMIENTO” DI KIRO RUSSO

Un anno dopo aver vinto il Premio speciale della giuria nella sezione Orizzonti della 78esima Mostra del Cinema di Venezia, El Gran Movimiento (2021) torna in Italia in occasione della terza edizione dei JOB FILM DAYS. A partire da un prologo (alla quale corrisponde un epilogo) debitore delle sinfonie urbane di matrice russo-tedesca, Kiro Russo intesse un racconto eccentrico e multiforme, in grado di guidare lo spettatore sia attraverso il caos della metropoli sia nei meandri della mente di Elder (Julio Cezar Ticona), il nostro pseudo-protagonista.

Il regista boliviano osserva La Paz, città stratificata che si espande in lungo e in largo, si arrampica, tramite le funivie, sui monti, e scende fino alle profondissime miniere: cerca di inghiottire quella Natura che, grazie al suo fascino misterioso ed esoterico, sembra non volersi ancora arrendere. Parallelamente, motivato dalla presunzione di poter raccontare ugualmente l’universale e il particolare, e le loro influenze reciproche, scruta le vicende di Elder, ex-minatore impossibilitato a lavorare da un male psicofisico incurabile. A questi due piani narrativi, Russo ne aggiunge un terzo che prova a sintetizzarli: lunghissime zoomate e contro-zoomate che, tra un taglio di montaggio e l’altro, mettono in contatto l’individuo con il mondo di cui fa parte. Deriva proprio da questo dialogo, il disagio psicologico che sta causando il decadimento del corpo di Elder, il quale sembra accentrare su di sé, come fosse costretto a un’involontaria passione, il malessere emanato dalla città. Per salvarsi deve quindi farsi aiutare da coloro che vivono ai margini della società, Mama Panchita (Francisca Arce de Aro), anziana amica della madre defunta, e Max (Max Bautista Uchasara), sciamano e ultimo custode della Natura contro l’artificio e il caos dell’Uomo. In questa eterna lotta, Russo si schiera apertamente in favore della prima; dopo aver analizzato attentamente il perenne movimento della metropoli, ne individua pure la sua traiettoria, e di conseguenza il suo punto d’arrivo, rivelato proprio dallo sciamano: «La Paz finirà in polvere».

Come se non bastasse, all’interno di questa proliferazione di immagini e stili, si aggiunge anche un intermezzo musicale, un vero e proprio videoclip, con tanto di danza coreografata che sembra replicare l’effetto straniante raggiunto da Tsai Ming-liang in The Hole – Il buco (1998) con i suoi episodi dominati dalla diva dei musical cinesi degli anni ’50, Grace Chang. Russo riesce quindi nella impresa titanica di amalgamare soluzioni diverse in un’unica organica opera, capace di destreggiarsi nella selva urbana come in quella naturale, restituendo lucidamente la miseria della nostra instabile e squilibrata società.

Enrico Nicolosi

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