Avere una bussola adeguata sulla quale si possa fare affidamento, spesso, può rivelarsi una necessità per non perdere troppo la strada; soprattutto in una società che muta la propria pelle di anno in anno. A volte la giusta bussola la si può trovare accanto a sé, nel proprio giardino di casa, nell’apparente semplicità di una frase spesa da una persona vicina; altre volte occorre invece allontanarsi, soprattutto se i propri cari, o almeno quelli che un tempo lo sono stati, sono emigrati, superando i confini, sperando in un futuro migliore. La bussola di Daniele Vicari per oltre dieci anni è stato Ettore Scola e Orlando, presentato fuori concorso alla quarantesima edizione del Torino Film Festival, è dedicato a lui.
Tagliato e cucito attorno al protagonista da cui prende in prestito il nome, Orlando, racconta la storia di un anziano agricoltore sabino, fortemente cosciente di non essere ciociaro, ma parallelamente incosciente di essere europeo. La disperata chiamata di aiuto sopraggiunta al bar del paese, da parte del figlio Vittorio, sradica Orlando dalla propria solitudine e lo costringe a varcare le soglie estere, dove la terra muta e diviene cemento, dove le certezze si nascondono e sorgono i dubbi. Arrivato a Bruxelles è ormai troppo tardi. Vittorio non c’è più. Il suo posto è occupato da una “monella” di nome Lyse: nipote di cui Orlando ha sempre ignorato l’esistenza e bussola che presto gli inizierà a dettare la via.
Sia Orlando (Michele Placido) che Lyse (Angelica Kazankova) hanno lo stesso problema, devono combattere una guerra. Come ogni guerra che si rispetti, anch’essa non può essere combattuta ad armi pari e, spesso, la sottile differenza che porta l’ago della bilancia a preferire la vittoria piuttosto che la sconfitta, è dettata dalla capacità di adattamento rispetto al contesto in cui ci si trova. Il contesto di Orlando è indubbiamente diverso da quello di Lyse, ma entrambi rincorrono un futuro, che non può esistere senza accettarlo e il cui passato ne costituisce l’ossatura sul quale deve essere fondato.
Con Orlando Vicari ci restituisce un incontro tra due mondi tanto distanti quanto vicini, tanto diversi all’apparenza quanto simili nella realtà. In una cornice dal profondo respiro europeista, le due personalità si fondano e si scontrano dando vita a una favola capace di riassumere il difficile percorso di comprensione che ogni individuo è moralmente obbligato a compiere rispetto ad una comunità – quella europea – di cui fa parte; tanto quanto un padre è moralmente obbligato a sbrigare un ultimo gesto disperato nei confronti del proprio figlio; tanto quanto un nonno è moralmente obbligato ad accudire la propria nipote.
Francesco Ghio