Nei film di Víctor Erice – quattro in una carriera iniziata ormai cinquant’anni fa – il cinema, sia come luogo fisico che come dispositivo tecnico ed espressivo, ha sempre ricoperto un ruolo centrale. Il primo lungometraggio, Lo spirito dell’alveare (El espíritu de la colmena, 1973), raccontava di una bambina sconvolta dalla visione di Frankenstein (James Whale, 1931). In El sur (1983) la protagonista scopriva il tradimento del padre in una sala dove venivano proiettati i film in cui recitava l’amante dell’uomo. Il cinema come immaginario influente, capace di avere effetti concreti sulla realtà, si ritrova anche in Cerrar los ojos, ultima opera del regista.
Il film intreccia due storie: quella di Miguel Garay (Manolo Solo), regista alla ricerca dell’attore e amico scomparso Julio Arenas (José Coronado); e quella del film che i due stavano girando prima della sparizione, dal titolo profetico La mirada del adiós (lo sguardo dell’addio), che raccontava l’avventura di un uomo incaricato di trovare e riportare a casa la figlia di un uomo ricco in fin di vita. Due storie di ricerca che finiscono per rispecchiarsi l’una nell’altra, senza tuttavia confondersi. Perché la realtà e la finzione rimangono distinte, ma l’una finisce per avere conseguenze sull’altra.
Le due storie sono raccontate attraverso l’uso alternato dell’analogico e del digitale. Il lavoro svolto dal regista con il direttore della fotografia Valentín Álvarez mette in risalto le differenze tra i supporti per riflettere sull’identità delle immagini, che possono essere verità o menzogna a seconda del formato. Il film nel film è girato in pellicola e rappresenta l’ultima prova rimasta dell’esistenza di Julio. Le uniche tracce dell’attore sono conservate nella matericità della pellicola, in quelle immagini diventate documento, archiviate senza mai essere mostrate al pubblico. Il digitale, invece, viene usato per evocare l’incertezza del presente e l’assenza di Julio. Non è un caso che sia proprio con questo formato che Erice mostri le scene del programma televisivo in cui viene discussa la sparizione, in una trasmissione che è più interessata ad alimentare il mistero che a risolverlo.
Il tema della memoria è legato a quello dell’identità. Julio ha deciso di dimenticare chi fosse, convinto di poter cancellare le proprie tracce, nella speranza che le altre persone non lo avrebbero ricordato, come del resto ha cercato di fare la figlia. Ma nel momento in cui l’attore viene costretto a vedere le scene del film incompiuto, viene messo davanti alla prova della propria esistenza. Non potendo negare l’evidenza del documento analogico, non gli rimane che chiudere gli occhi, per continuare a vivere nell’evanescenza del digitale.
Fabio Bertolotto