È difficile immaginare cosa possano aver provato migliaia di giovani che, dopo aver vissuto per anni sotto regime, un giorno, improvvisamente, hanno avuto la possibilità di varcare i confini del loro Paese e vedere liberamente Londra, Parigi, Roma, Madrid o Amsterdam. Non stupisce quindi che László Csáki abbia voluto fare un documentario in animazione per sfruttare le possibilità del disegno e trasmettere le sensazioni e le emozioni che un’intera generazione ha vissuto in Ungheria negli anni Novanta a seguito del disfacimento della Repubblica Popolare e dell’Unione Sovietica.
All’epoca il desiderio dei giovani di oltrepassare quei confini, per la prima volta aperti, si scontrava con i prezzi esorbitanti dei biglietti per uscire dal Paese. Tra le voci degli intervistati, l’animazione e alcune riprese dal vero in super 8, László Csáki interpreta in modo personale le vicende di un gruppo di ragazzi che, in questo contesto, si sono specializzati nella contraffazione di biglietti ferroviari.
Se da un lato il regista con il suo stile di disegno dimostra come l’animazione possa ancora una volta essere un ottimo alleato al servizio del documentario, dall’altro la sorprendente capacità espressiva del film emerge nella contrapposizione con la pellicola. Nonostante il contenuto di queste immagini sia spesso apparentemente poco rilevante, la loro forza è dovuta al ritmo incalzante che danno al film. Le riprese dal vero compaiono infatti per poche frazioni di secondo, manifestandosi improvvisamente tra i disegni animati di Csáki, e mostrano mani, biglietti, timbri, inchiostro e oggetti di ogni tipo. Da una parte queste brevissime interruzioni, attraverso la loro cadenza, enfatizzano la preoccupazione, la felicità o l’eccitazione di un determinato personaggio, dall’altra danno all’intero film un ritmo molto rapido, spesso quasi nervoso, in contrapposizione all’animazione.
Il punto di forza di Pelikan Blue risiede quindi nel montaggio, per mezzo del quale viene orchestrata sapientemente l’alternanza tra l’animazione e gli inserti in super 8, che enfatizzano momenti precisi del lungometraggio. L’euforia di quei ragazzi investiti improvvisamente da un’ondata di possibilità e di libertà, di voglia di scoprire il mondo oltre la Cortina di Ferro anche a costo del carcere, emerge da questo turbinio di immagini eterogenee. Non è forse un caso quindi che, nonostante le infinite possibilità offerte dall’animazione, Csáki decida di non mostrare nessuno dei luoghi stranieri menzionati e poi finalmente raggiunti dai giovani del tempo, ma di rimanere invece fisicamente in Ungheria, rappresentandola attraverso le emozioni e le pulsioni di una generazione.
Marco Di Pasquale.