“IMMÉMORIAL, CHANTS DE LA GRANDE NUIT” DI BÉATRICE KORDON

Buio, freddo. Una melodia metallica e una voce fuori campo introducono le coordinate atmosferiche e tematiche di Immémorial, Chants de la Grande Nuit. Si racconta di un momento primigenio in cui gli Dei avrebbero squarciato la Notte per far emergere il «mondo delle cose». Così sarebbero nate la forma, la parola e il giorno. Servendosi del mito, Béatrice Kordon conduce un’indagine sul tempo “immemorabile”: un tempo che è tanto passato quanto futuro, che non ha traccia e che è in bilico tra la morte e la nascita, tra il buio e la luce.

Dopo il prologo, un canto ieratico dà avvio al primo dei quattro capitoli-canzoni che strutturano il film – Song ISong II e così via. Ogni capitolo è un susseguirsi di materiali differenti, originali e d’archivio, legati non tanto da una coerenza narrativa interna quanto dal motivo canoro che li accompagna. Questo scorrere di immagini affrancato da qualsiasi forma coercitiva di discorso logico-causale favorisce il parziale annullamento del punto di vista della regista – che più che raccontare sembra mostrare – e garantisce a chi guarda una certa libertà di fruizione.

A tratti, l’innervante flusso audiovisivo che compone il film si sofferma sull’indagine di alcuni elementi naturali. Attraverso lenti zoom, lo sguardo indugia sull’acqua di una cascata o di una pioggia inconsistente, su un cielo stellato, sulla lava che sgorga da un vulcano, sulle fiamme di un incendio; ma, avvicinandosi troppo, finisce per sfaldare i contorni delle “cose”. In questi momenti, il fuori fuoco apre spazi liminali, a cavallo tra il visibile e l’invisibile, luoghi di potenziale emersione di una verità estatica, profonda e indescrivibile – la stessa di cui parlava Werner Herzog al Walker Art Center (The Minnesota Declaration: Truth and Fact in Documentary Cinema, 1999).

Un’équipe di uomini risale il pendio di una montagna boscosa. Si fermano a osservare un albero del quale si riesce a malapena a scrutare la chioma troppo alta per essere racchiusa dall’inquadratura. Decidono di abbatterlo. Poi, lo portano in spalla fin sulla vetta per ri-innalzarlo. È una sequenza di Immémorial che genera una connessione tanto astrusa quanto calzante tra Kordon e il Michelangelo Frammartino de Le quattro volte (2010), film che, a sua volta, è imparentato con I dimenticati di Vittorio De Seta (1959). A sostenere questa improbabile triade cinematografica non è solo la stessa sequenza di azioni (abbattimento-trasporto-innalzamento, morte-rito-rinascita), ma anche la volontà di esplorare le zone grigie della memoria, del reale, e il tentativo di affacciarsi a uno di quegli squarci aperti forse dagli Dei.

Lisa Cortopassi

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