Una storia d’amore e il desiderio di creare una famiglia sono il punto di partenza del film di Abdelhamid Bouchnack. Mariem, orfana e senza il velo, e Dalì, un mussulmano che a volte prega e altre no, sono due giovani tunisini che rappresentano l’avanguardia a cui aspira il loro Paese. Tuttavia, la nascita di unə figliə fa emergere e rivela le profonde incertezze che governano una cultura stagnante.
La narrazione inizialmente è pervasa da dolcezza. I futuri genitori, spesso vicini, condividono l’attesa e la messa in quadro enfatizza il senso di vicinanza: sebbene il quadro sia spesso diviso in due metà simmetriche – in composizioni che ricordano quelle di Wes Anderson -, i protagonisti condividono lo stesso lato dell’inquadratura, simbolo di unione.
Gli equilibri della coppia vengono ribaltati quando l’infermiera comunica ai neo-genitori che lə neonatə è intersessuale. Se, fino a quel momento, il commento sonoro ha accompagnato la quotidianità dei genitori, in questa scena regna il silenzio: le parole, ben scandite dalla dottoressa, giungono alle orecchie di Dalì ed eliminano ogni possibilità di fraintendimento. Dalì è sopraffatto dalla notizia: il motivo di vanto con gli amici al bar “un Uomo mette al mondo un altro Uomo” non ha alcun legame con la realtà.
Come una preghiera, i personaggi ripetono che l’importante è che lə nasciturə sia sanə. Tuttavia, il buon auspicio viene meno dal momento che la salute dellə neonatə passa in secondo piano e che la priorità di Dalì è risolvere in fretta “la questione”. Il film cambia registro e la delicatezza impersonata da Mariem si trasforma in violenza nei comportamenti del padre. Dalì vomita alla vista dei genitali dellə figliə, non lə tiene in braccio e ammette che sarebbe stato meglio fosse mortə. Anche la composizione del quadro, a partire da questo momento, indica una distanza e una separazione: i partner ora si trovano ai lati opposti dell’inquadratura a sottolinearne la lontananza e la frattura tra cultura e natura.
Dopo le lotte di Mariem, sembra che una soluzione sia vicina. La tensione si allenta, lasciando spazio alla speranza che prevalga il bene dellə neonatə: sarà ləi a decidere autonomamente durante la pubertà quale organo sessuale conservare. In un colpo di scena finale Dalì compie un gesto estremo: rapisce lə neonatə e lə porta in ospedale per eliminare uno tra i due genitali.
Nell’ultima scena, un’ellissi temporale mostra Nour (nome intersessuale) adolescente con un’espressione di genere femminile. Inevitabilmente, lo spettatore si domanda quale intervento abbia compiuto il bisturi del chirurgo anni prima, senza però avere una risposta definitiva. Riflettendo sulle complesse tematiche culturali, sociali e religiose sollevate dalla storia, appare evidente che la risposta rimane intrappolata nel problema stesso.
Beatrice Bertino