Una straordinaria capsula del tempo ci trasporta nella Torino di fine anni Settanta, dove una gioventù smarrita vive la nascita di un fenomeno, quello ultras, che diventerà via via sempre più importante nella vita pubblica del nostro paese.
Inizialmente concepito come cortometraggio, Il potere dev’essere bianconero (1978) viene ampliato proprio per il suo valore soprattutto sociale. Con Ragazzi di stadio – digitalizzato dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea nel 2024 in seguito alla morte del regista -, Daniele Segre ha dato vita a una delle prime indagini sul fenomeno degli Ultras italiani.
Per due anni, Segre frequenta le curve dello stadio e segue le riunioni, i cortei e i sogni di giovani ragazzi e ragazze. La sua presenza, volutamente marginale, riflette la natura stessa del fenomeno che intende raccontare. Con un approccio discreto, fatto di poche domande e interventi sintetici, l’autore lascia che i protagonisti diventino i veri narratori della storia e mettano in luce la loro realtà. Segre riesce sempre a mantenere la giusta distanza tra chi riprende e chi è ripreso, evitando quella “nebbia” che il termine “tifo” (dal greco) suggerirebbe.
I protagonisti del documentario sono i giovani torinesi e i luoghi che abitano: una città segnata dalle divisioni politiche degli anni ’70, una città che porta i segni delle lotte ideologiche che percorrono tutta Italia. I pionieri del movimento ultras, cresciuti in un contesto di disgregazione sociale, trovano nelle curve dello stadio uno spazio di appartenenza e libertà, rispondendo alle tensioni di un’epoca che imponeva loro di scegliere tra disimpegno e lotta armata.
Le immagini non nascondono la rilevanza della lotta armata, ma la mostrano nel contesto del tempo: il gesto della P38, gli slogan che riecheggiano nelle strade di Torino, sono parte integrante della storia che il regista ci restituisce, con il titolo Il potere dev’essere bianconero, una storpiatura dello slogan “Il potere deve essere operaio”, a riflettere l’intreccio tra ultras e tensioni sociali.
L’analisi di Segre è lucida e rispettosa: non demonizza il fenomeno delle curve, né si fa influenzare da interpretazioni psicologiche che lo vedono come una valvola di sfogo per una società repressa. Al contrario, illustra un mondo in cui i giovani, molti dei quali emigrati dal sud Italia, sono alla ricerca di identità e spazi di aggregazione sociale, trovando risposte nelle sottoculture urbane e nelle curve calcistiche.
Nicolò Cifarelli