Nella jungla indiana, a partire dagli anni Sessanta, opera il gruppo maoista militante dei naxaliti, preposto alla tutela (anche violenta) delle minoranze tribali del sub-continente. Dalla loro fondazione, questi gruppi armati hanno rivestito il ruolo di “nemico pubblico n.1” per la sicurezza interna del Paese.
Per i ribelli che si fossero arresi sono però sempre state garantite la totale amnistia e la protezione dalle ritorsioni dagli ex compagni di militanza, all’interno di comunità ben salvaguardate. Ed è su una di queste realtà di “rifugiati” che si concentra A Rifle and a Bag, opera prima del collettivo “NoCut Film”, formato da Cristina Haneş, Isabella Rinaldi e Arya Rothe.
Le tre registe scelgono di concentrare il loro sguardo su una famiglia ex naxalita -Somi e Sukhram e i loro due figli maschi, uno dei quali ancora in fasce-, che si trova vittima al contempo del suo passato recente e delle contraddizioni della nuova condizione in cui vive. Madre e padre vorrebbero infatti iscrivere il figlio maggiore in una scuola elementare fuori dalla comunità protetta in cui vivono per offrirgli maggiori possibilità, ma per farlo hanno bisogno del certificato di casta di Sukhram, il padre. Questo documento, in India, permette ai cittadini di godere dei diritti economici e sociali e Sukhram lo ha dimenticato al suo paese, ormai inavvicinabile a causa della forte presenza naxalita. Il certificato di Somi basta infatti a mantenere i costi della scuola esterna solo per qualche tempo, dopodiché il bambino viene rimandato a studiare nella comunità di ex combattenti.
Comunità che pare più vicina a uno slum che non a un piccolo paese, seppur di provincia, del terzo millennio. Attorno al fuoco i rifugiati si raccontano le ferite di guerra, aneddoti sui “bei tempi” della militanza e non tralasciano le invettive contro uno Stato che, pur proteggendoli, pare indifferente alle loro condizioni e che, in fondo, non permette loro di avere le stesse possibilità garantite al resto dei cittadini.
Anche se con qualche ridondanza, A Rifle and a Bag parrebbe configurarsi come un film più di “borsa” che non di “fucile”, maggiormente interessato a raccontare la realtà dei suoi protagonisti e della loro penosa condizione piuttosto che “mirare” al cuore del problema. Unendo però la dimensione quotidiana a una più squisitamente contemplativa, Haneş, Rinaldi e Rothe restituiscono allo spettatore una potente denuncia contro l’India conservatrice e corrotta di Narendra Modi, riflettendo anche sul tema delle colpe dei padri e sulla responsabilità delle generazioni su quelle successive.
Alessandro Pomati