“CELLULOID BORDELLO” DI JULIANA PICCILLO

Scintillante, misterioso, condannato eppure bramato dagli occhi di tutti: nulla si presta a essere indagato dal cinema come il mondo del sex work. Celluloid Bordello, il documentario di Juliana Piccillo, presentato durante la quinta edizione del Fish&Chips Film Festival, si propone di raccontare il complicato rapporto tra sex workers e grande schermo, presentandone gli stereotipi, i pregiudizi e i luoghi comuni attraverso il punto di vista di chi ha scelto di svolgere questa professione.

Superata l’ottica profondamente moralista dei primi decenni, evidente in Seventh Heaven (1937), e spaziando tra gli esiti più scanzonati degli anni Sessanta, come Irma la douce (1963) e Sweet Charity (1969), e quelli più iconici degli anni Ottanta e Novanta, tra cui Trading Places (1983) e Pretty Woman (1990), il cinema sembra muoversi tra poli opposti e estremi: le sex workers sono ragazze sfortunate e abbandonate che disprezzano la loro condizione oppure avide e immorali femmes fatales, mostri da ripudiare oppure “pretty women”, rifiuti sociali sul ciglio della strada o ricche ed eleganti accompagnatrici. All’interno di questa varietà di rappresentazioni, vi è però una costante: per la società, le sex workers non sono esseri umani, appartengono a una categoria inferiore, e per questo la violenza che subiscono viene esibita, giustificata, normalizzata, svuotata della propria crudezza. Si tratta forse di un alibi, di un escamotage per poter mostrare tali immagini, per poter indulgere in esse senza remore, poiché, dopotutto, non è di vere donne che si tratta.

Tuttavia, le attrici di Hollywood hanno sempre ricoperto questi ruoli con entusiasmo, nonostante il pregiudizio che li circonda, e l’Academy ha ripetutamente premiato le loro interpretazioni: il sex work è un mondo a cui non si avvicinerebbero nella realtà ma che si divertono a esplorare nella finzione. La sua attrattiva traspare in maniera evidente e sembra tradursi in rari esempi di rappresentazione positiva: le sex worker intervistate in Celluloid Bordello raccontano come il grande schermo le abbia avvicinate alla loro professione tramite l’intraprendente Ophelia di Trading Places, l’ammaliante Lola di Damn Yankees! o l’indipendente Louise di Gipsy. Lo stesso può dire la sex worker Elettra Arazatah – intervistata dalla storica del cinema e docente del DAMS Giulia Muggeo dopo la proiezione – che ha trovato in quel “Tu che ne sai?” di Catherine Deneuve in Belle de jour tutta l’essenza del sex work, da sempre stigmatizzato da chi non lo conosce.

La rappresentazione del sex work nel cinema pecca ancora di bidimensionalità e spesso presenta al pubblico stereotipi tanto sedimentati da non dover essere raccontati, costruiti ma semplicemente attivati al momento della visione. Ne consegue una realtà ostile che in Italia, come racconta Elettra Arazatah, è alla base di leggi restrittive, come quella sul favoreggiamento che impedisce alle sex workers e ai sex workers di vivere in comunità e, pertanto, di condividere obiettivi politici riguardanti la loro professione e il loro ruolo in società. Privilegiando il punto di vista di chi pratica sex work con convinzione e passione, Celluloid Bordello permette allo spettatore di immergersi in una dimensione cinematografica tanto ubiqua quanto marginalizzata.

Alice Ferro

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