“WORKING CLASS HEROES” DI MILOŠ PUŠIĆ

In occasione del suo terzo lungometraggio, scelto come film d’apertura della terza edizione dei JOB FILM DAYS, Miloš Pušić narra, tra il serio e il faceto, una storia che si nutre di una messa scena cangiante e imprevedibile per mostrare la mancanza di tutele e diritti dei lavoratori in Serbia. Working Class Heroes racconta di un gruppo di operai edili alle prese con il completamento di un edificio in un clima di illegalità e corruzione. La società di costruzioni però li ha ingaggiati principalmente per far finta di lavorare, per convincere gli investitori, attraverso l’immagine distorta della televisione, della bontà del progetto. Il cantiere diventa quindi un set che alimenta il sogno, ormai marcio fino al midollo, della possibilità di convivere con queste condizioni.

«Nemmeno a Hollywood». Braco (Predrag Momčilović) il regista-capocantiere lo dice così spesso da cominciare quasi a crederci. Esattamente come Lidija (Jasna Đuričić), PR-produttrice di questo film low-budget, la quale, nonostante sappia benissimo che la situazione è completamente diversa da quella tutta rose e fiori dipinta dalla televisione locale, si autoconvince di essere costretta a perpetuare questa truffa. Anche gli operai-attori entrano in parte, il “Professore” (Boris Isaković), chiamato così per essere l’unico in possesso di un diploma, si persuade di essere uno dei protagonisti dei film di Capra interpretati da Gary Cooper, talmente pieno di umanità e di arguzia da riuscire a infondere nei suoi compagni la speranza necessaria per andare avanti. Questo immotivato ottimismo contagia anche il giovane collega Mali (Stefan Beronja), a un passo dal coronamento di una love story tanto semplice e ingenua da essere possibile solo in un film hollywoodiano.

Miloš Pušić sapientemente costruisce il miraggio facendo vivere gli operai esclusivamente all’interno di questo concretissimo non-luogo, mettendoli in posa davanti ai muri, fotografandoli come manichini, pupazzi manovrati da chi ha più potere ma persuasi, per poco, di poter dettare le condizioni della loro stessa vita. Ed è al massimo dell’entusiasmo che questa fantasia viene distrutta, curiosamente, con lo stesso strumento utilizzato da Tarantino nella sua ultima pellicola per raggiungere l’effetto opposto, ovvero la violenza esplicita. Se in C’era una volta a… Hollywood (2019) essa segnava l’ostentazione della falsità dell’universo tarantiniano, qui invece desta lo spettatore dal sogno, mostrandogli la dura e cruda verità, quella che nessuno vorrebbe vedere, noi in primis, ma anche i personaggi stessi. È proprio Lidija infatti a sfiorare lo sguardo della telecamera, ad avvertire implicitamente, con un’occhiata, che anche lei, a forza di far finta di niente, aveva cominciato a credere che andasse tutto bene, che lavorare in condizioni pessime non fosse peggio di dover stare a stretto contatto con il suo viscido capo (Aleksandar Đurica) e che la Serbia fosse, come testimoniato dal suo indice PIL, in evidente ripresa. In fondo lo dice la TV «It’s not a lie… if you believe it» Miloš Pušić però ci porta nel dietro le quinte della fabbrica dei sogni, a Novi Sad come a Hollywood.

Enrico Nicolosi

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