Il passaggio dei treni offre qualcosa di inaspettatamente prezioso al giovane Dé (Big Jaum). Il movimento dei vagoni, il loro ritmo metallico e continuo, ricordano il moto della vita; per questo motivo, quando ne sente il bisogno, Dé sale sul ponte che si affaccia sui binari insieme alla nonna Almerinda (Teca Pereira) malata di Alzheimer. Così, entrambi possono osservare in silenzio i treni scorrere sotto di loro, illudendosi di trovarsi al di sopra dei propri problemi, almeno per qualche istante.
Lungometraggio d’esordio per il regista brasiliano Luciano Vidigal, Kasa Branca racconta le difficoltà quotidiane che un adolescente delle favelas affronta per sopravvivere e prendersi cura della nonna malata. Tra le spese per le medicine e l’affitto, Dé ha sulle spalle un peso enorme, che spesso lo porta sul punto di crollare. Fortunatamente per lui, però, è circondato da ottimi amici che fanno di tutto per aiutarlo. Vediamo quindi muoversi in scena due energie opposte: quella dei giovani e appassionati protagonisti, che vivono le loro prime esperienze mentre il mondo chiede loro di crescere – forse troppo in fretta -; e quella dell’anziana nonna, la cui vita è ormai appesa a un filo sottile. La regia coglie questa dinamica, mantenendo una certa distanza dai personaggi attraverso inquadrature fisse e campi lunghi che valorizzano sia la coralità di sguardi sia, dall’alto delle colline, l’intera favela di Vidigal, a Rio de Janeiro. La vera protagonista è dunque la comunità.
Il film propone una storia alternativa rispetto agli stereotipi del cinema sociale brasiliano che, seguendo sulla scia del successo di City of God (Fernando Meirelles, 2002), tende ad accostare favelas e criminalità. Luciano Vidigal stesso ha realizzato nel 2013 City of God: 10 years later, documentario che segue le vite del cast del film di Meirelles, composto per la maggior parte da attori non professionisti scovati dalle favelas, in cui scopriamo che le loro vite non sono affatto cambiate e che sono perlopiù tornati in condizioni di povertà e disagio. Le loro storie sono dunque state sfruttate e poi dimenticate. Kasa Branca combatte questo tipo di operazioni benché porti comunque sullo schermo i volti delle favelas: il cast appartiene infatti alla compagnia teatrale locale Nós do Morro, che da quasi quarant’anni permette ai suoi membri di accedere al mondo dell’arte e della cultura. Il regista sceglie così di raccontare gli aspetti positivi della vita comunitaria e di relegare la violenza e la criminalità sullo sfondo, rendendo il film un atto di resistenza e una dichiarazione identitaria di Vidigal e di Rio de Janeiro. Presentato in concorso alla 42° edizione del Torino Film Festival.
Romeo Gjokaj