A Man Imagined è un ritratto intimo e doloroso di Lloyd, clochard affetto da schizofrenia, che tra realtà e immaginazione racconta la propria vita fin dall’infanzia.
Il documentario, scritto e diretto da Melanie Shatzk e Brian Cassidy, è un’opera audace che va oltre le convenzioni del documentario tradizionale per esplorare il racconto umano in modo evocativo e poetico. Lloyd è un sessantasettenne che vive tra i detriti urbani decadenti di Montréal, sopravvivendo a inverni rigidi ed estati afose. Le sue continue psicosi collocano il racconto tra il concreto e il fantastico, cosa che porta lo spettatore a non sapere mai effettivamente se si trova ad assistere al racconto dell’infanzia di Lloyd o a qualcosa che ha solo immaginato di aver vissuto. La confusione è accentuata dalla struttura non lineare della narrazione, che sfrutta frammenti di immagini e di suoni, per immergere lo spettatore in un mondo enigmatico e talvolta surreale.
«Si è avvicinato a noi, incuriosito dalla nostra macchina da presa e […] possedeva un’aura quasi biblica, inconfondibile, e un bisogno, seppur nascosto, di essere visto». In un’intervista, Shatzky e Cassidy hanno ribadito il concetto che lo stesso Lloyd esplicita più volte nel documentario: la sua necessità di essere visto, di non sentirsi un fantasma. Da questa sensazione scaturisce il suo bisogno di parlare, non importa con chi: che sia agli automobilisti per strada o ai passanti Lloyd si racconta con il pretesto di elemosinare qualche spicciolo e ringrazia i propri interlocutori per averlo ascoltato. L’attenzione, quindi, non è focalizzata tanto sulla storia del protagonista, quanto sulla sua spiritualità, vulnerabilità e complessità.
La fotografia luminosa, quasi scintillante, sembra voler sottolineare da un lato l’ambiente in cui il Lloyd, e non solo lui, si trova a vivere, mentre dall’altro il senso di alienazione che pervade il film. È una fotografia altamente stilizzata e ogni inquadratura sembra un quadro che gioca con luci ed ombre, con i primi piani di fiori e insetti che appaiono splendenti, quasi eccessivamente saturati. Infine, i suoni ambientali – il vento, il pavimento scricchiolante o il rumore delle automobili – e la colonna sonora minimalista amplificano la dimensione emotiva del racconto, assolutamente originale quanto visionario.
Carlotta Profico