Dolph: Unbreakable racconta la vita e la carriera di Dolph Lundgren partendo dal punto di massima fragilità: la malattia. Il documentario di Andrew Holmes si apre e si chiude lì, nel momento in cui l’attore – simbolo del cinema d’azione – smette di essere soltanto un “duro” per diventare un uomo che combatte in silenzio, continuando a lavorare, ad allenarsi, a vivere.
Il film ripercorre una parabola che dalle aule universitarie porta alle pedane di karate, dalle vittorie nelle competizioni al mondo sfrenato dello spettacolo. Vediamo Grace Jones, i primi successi, e poi quell’incontro destinato a cambiare tutto: il personaggio di Ivan Drago in Rocky IV (Sylvester Stallone, 1985). Vediamo i provini, gli allenamenti con Sylvester Stallone, l’ascesa rapida di un ragazzo disciplinato che è però cresciuto con un padre difficile e in un ambiente che avrebbe spezzato molti, ma non lui. Il cuore del documentario, però, è la diagnosi di un tumore aggressivo. Cure inefficaci, prospettive cupe, il timore reale di non farcela. La svolta arriva grazie alla dottoressa Alexandra Drakaki dell’UCLA, che individua la mutazione responsabile della malattia e apre la strada a una terapia nuova, capace di ridare speranza in poche settimane. E mentre il corpo lotta, Lundgren continua a girare film – tra cui I mercenari 4 (Expendables, Scott Waugh, 2023) – senza mai trasformare la sua condizione in spettacolo. A parlare di lui ci sono colleghi e amici: Stallone, Schwarzenegger, Randy Couture. Le loro parole compongono un mosaico affettuoso, fatto di rispetto e di stima per un uomo che ritrova sempre l’equilibrio.
Oggi, a sessantotto anni, Lundgren continua a recitare e dirigere. Unbreakable restituisce l’immagine di una vita piena, segnata da vittorie, cadute e rinascite. È il ritratto di un combattente vero, non perché abbia sempre vinto, ma perché non ha mai smesso di provarci.
Marta Mastrocinque
Articolo pubblicato su “la Repubblica Torino” il 23 novembre 2025
