“BILLY KNIGHT” DI ALEC GRIFFEN ROTH

Hollywood ti promette tutto. Ma spesso, dopo averti preso l’anima, ti restituisce solo un riflesso sbiadito di ciò che cercavi. Billy Knight, esordio di Alec Griffen Roth, è una dichiarazione d’amore per il cinema, un racconto sospeso tra realtà e immaginazione. È il viaggio di un giovane artista che tenta di capire se può salvarsi grazie a Hollywood o se quest’ultima è soltanto un’illusione ben confezionata.

Giovane studente di cinema, Alex (Charlie Heaton) riceve in eredità dal padre – uno sceneggiatore fallito – una scatola di oggetti, delle sceneggiature incomplete e un fazzoletto ricamato con il misterioso nome di Billy Knight. Da qui parte una sorta di Midnight in Hollywood, un pellegrinaggio sospeso tra concretezza e visionarietà che affonda le radici nella storia della settima arte: dalla giostra dei cavalli di Griffith Park agli studi della Paramount, il protagonista è accompagnato da un mentore che incarna la seduzione stessa del cinema. Il Billy Knight interpretato da Al Pacino è figura reale e onirica allo stesso tempo, proiezione di tutto ciò che Alex desidera diventare e di tutte le insicurezze da cui deve liberarsi per diventare il regista che vuol essere.

Dietro la fiaba cinefila emerge un’altra verità, più dura e più necessaria: tutte quelle avventure magiche e sacre che Alex vive accanto al suo idolo – l’incontro al cinema guardando Pinocchio, il momento in cui Billy viene “finalmente” riconosciuto dall’Academy – non appartengono al mondo reale, ma sono una rielaborazione della sua frustrazione, una difesa per non affrontare ciò che nella vita ha davvero valore. A ricordarglielo c’è Emily (Diana Silvers), amica d’infanzia da sempre segretamente innamorata di lui, presenza reale e leale che Alex trascura inseguendo il suo sogno.

Roth costruisce il film come un testamento d’esordio: le citazioni e gli echi cinefili – da The Fabelmans (Spielberg, 2022), Babylon (Chazelle, 2022) e Nuovo Cinema Paradiso (Tornatore, 1988) – funzionano da bussola emotiva e dichiarazione poetica. Una rappresentazione nostalgica di un cinema ideale, raccontata anche attraverso la sequenza dei titoli di testa, che ripercorre la storia della settima arte come un album di ricordi collettivi.

Billy Knight oscilla tra omaggio e disillusione, tra il bisogno di appartenere al mito e la consapevolezza che nessun mito può sostituire la vita. E il regista ne è consapevole quando afferma che il film è la storia di “due artisti smarriti e del viaggio interiore di un giovane in cerca della propria voce”. È quella stessa voce che Alex, solo nel momento in cui rinuncia al suo amico immaginario, finalmente troverà.

Niccolò Bedino

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