“EVA” DI EMANUELA ROSSI

Tutto comincia da un gesto che inquieta e commuove: Eva rapisce dei bambini, convinta di doverli salvare da una minaccia che solo lei sembra vedere. Il tema dei più piccoli da proteggere, che Emanuela Rossi aveva già sfiorato in Buio (2019)qui diventa un’urgenza assolutaIl gesto di Eva nasce da un istinto primordiale, non dalla violenza. La sua missione sembra il risultato di un dolore che non viene raccontato ma che si intuisce, un trauma che l’ha trasformata: una crepa profonda, impossibile da guarire, che si è allargata fino a inghiottirla.

Interpretata da un’intensa Carol Duarte, Eva vaga tra boschi, parcheggi e centri commerciali come una presenza fuori posto, con il passo assorto di chi non appartiene più a nessun luogo. Non fa del male a nessuno, ma vive in costante allerta: un fruscio diventa un avvertimento, una luce un segnale, il silenzio un richiamo che la spinge avanti anche quando vorrebbe fermarsi. È come se rispondesse a una forza superiore, una presenza che solo lei riesce a percepire.

Il film guarda all’ambiente con la stessa sensibilità che riserva alla sua protagonista. Eva vede nella natura un luogo vulnerabile ma ancora puro, l’unico davvero sicuro, e nel contrasto tra la campagna e la città inquinata, tra paesaggi minacciati e possibili catastrofi, coglie la conferma di un mondo che ha smarrito le proprie radici.

L’incontro con Giacomo (Edoardo Pesce), un apicoltore che vive con il figlio Nicola in un casale immerso nel verde, apre uno spiraglio. In quell’equilibrio semplice, fatto di aria pulita e gesti quotidiani, Eva assapora un frammento di quiete. Per un attimo sembra possibile un’esistenza diversa, più umana. In parallelo, il film segue una donna in Cina che affronta la malattia della figlia: due storie lontane, che non si toccano mai ma condividono lo stesso centro emotivo — la paura di perdere un bambino e la necessità di salvarlo a ogni costo. Le loro angosce si rispecchiano, come due declinazioni dello stesso dolore.

Lo sguardo del film resta sempre accanto a Eva, senza giudicarla né assolverla, cercando piuttosto di capire da dove nasca quella necessità assoluta di protezione. Non offre risposte né soluzioni: rimane sospeso, aperto, perché il suo intento non è chiudere una crisi, ma mostrarne il peso, l’intensità e la solitudine. Eva resta una figura ambigua e ferita, e proprio per questo profondamente umana.

Marilina Rita Monzo

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